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PSICOANALISI NEOFREUDIANA

A cura dell' International Foundation Erich Fromm
Periodico quadrimestrale
anno XX numero 3 speciale
Registrato al Tribunale di Prato il 01/06/1988 al n. 133
Comitato Scientifico - Coordinatore: Irene Battaglini

Stampato in proprio - diffusione via Web
Direttore Responsabile: Ezio Benelli
Editing: Irene Battaglini
Polimnia - Musa della narrazione

ORDINE E DISORDINE, TRADIZIONE E SVILUPPO NELLA MORFOGENESI ECOLOGICA

Maurizio Spada *

Forma rigida e sostanza matematica

Forma e sostanza spesso nella nostra cultura vengono intese come due cose separate e la sostanza naturalmente è sempre stata superiore alla forma. La forma veniva tradizionalmente intesa come apparenza e mutamento, la sostanza come essenza e immobilità,

Anche nel linguaggio comune si è protratta questa dicotomia: si dice infatti "sei tutto apparenza e niente sostanza" - sottolineando che è la sostanza quella che conta.

Questo dualismo si nota nella storia del nostro pensiero a partire dai filosofi atomisti greci, come fa notare anche F.Capra, e si accentua quando l'essenza si identifica con il pensiero matematico (Pitagora). A partire da questo momento la forma per essere ideale, cioè corrispondere all'essenza, doveva avere requisiti geometrico-matematici precisi che si incentrano sulla ricerca di un modello ideale, fisso e universale. La forma diventava sostanza solo attraverso la geometria che era la manifestazione formale della perfezione numerica. Così la ricerca di un modello astratto, matematico, allontanava sempre più il problema dalla forma della vita e dai suoi problemi contingenti.

La perdita, poi, con l'illuminismo, del senso del sacro e del valore simbolico collegato alla forma ha finito poi per toglierle ogni possibilità di aggancio effettivo con una realtà più profonda.

Vi è insomma stata la confusione di un linguaggio (matematico) con la realtà che doveva esprimere ovvero, parafrasando Capra, si è confusa la mappa con il territorio e questo tentativo di tradurre la forma in leggi matematiche universali ha trascurato la forma della vita. Infatti una forma statica, perfetta, fissa è una forma morta.

Lo si è visto principalmente nei disegni di città del passato recente e meno recente: ci si era talmente innamorati del modello perfetto che si è dimenticato l'uomo e i suoi problemi.

Questo si è tradotto in una netta separazione tra soggetto uomo e oggetto costruito (città, casa, ambiente).

Questo pensiero, a ben guardare, si è sempre sposato con il potere dispotico perché bene si adatta a giustificarlo e a obliare i problemi dell'uomo reale: a partire dalle colonizzazioni greco-romane, alle più recenti città ideali del Rinascimento, fino alle utopie razionaliste.

I romani, d'altronde, sono gli inventori del monumento come forma perfetta deputato a rappresentare, celebrare, incombere.

Sulla vita prende il sopravvento la storia, il passato, le gesta..., la morte.

Dalla ricerca della forma perfetta a fini religiosi (v. greci) all'utilizzo delle regole geometrico matematiche come legittimazione della perfezione del potere e della sua celebrazione.

Basti pensare all'accampamento militare romano con il cardo ed il decumano che richiamano l'antico simbolismo del centro (Eliade) dell'universo ma che viene lì utilizzato ai fini funzionali bellici ed il centro diventa il luogo dove si amministra la giustizia di Roma.

L'Ordine geometrico si sposa con l'ordine militare che è un ordine del passato o del futuro, mai del presente che è da ordinare.

L'ordine è inteso come rigidità, come inamovibilità da un modello superiore e dispotico che è un modello geometrico-matematico (esatto).

La forma dunque di un pensiero riduttivo, meccanicistico, dicotomizzato, rivolto più al passato e al futuro che non al presente, non può che essere simbolo di aspirazione alla morte, fissità: la vita, infatti, è mutamento, è quotidianità.

Se accettiamo il valore psicagogico delle forme, come dice M. Eliade, questi tipi di forme che ci circondano da centinaia d'anni contribuiscono alla nostra mentalità riduzionista e meccanicista che è alla base del dissesto ecologico.

La forma della vita

Le forme della vita dunque non possono essere modelli astratti e rigidi. Il pensiero ecologico che nasce da una ecologia della mente (Bateson) è un pensiero che favorisce la vita, è quindi pensiero sistemico, integrato nel senso che nessuna funzione viene fatta prevalere artificialmente sulle altre, nel senso che tutte si integrano ed hanno come fine la vita stessa. La vita è un continuo ordine e disordine, un fare e disfare, un continuo processo di integrazione e di ricerca di equilibrio dinamico. In un sistema vivente non si tende alla massimizzazione di una variabile ma si tende alla ottimizzazione di tutte, non vi è ordine geometrico, ma ordine organico.

L'ordine geometrico è quindi contro un ordine psicologico.

Le nostre città attuali soffrono di tutti i guai che ben conosciamo semplicemente per questo motivo: si è avanzati sulla strada di un ordine geometrico che traduceva la massimizzazione di una funzione (nel nostro caso il profitto visto come progresso) anziché procedere verso un ordine organico.

I piani regolatori rigidi del passato sono emblematici, l'utilizzo dello zoning e della separazione delle funzioni in una fraintesa funzionalità ne è l'esempio più eclatante.

I quartieri monotoni, ripetitivi, privi di linguaggio delle periferie di tutte le città sono una conseguenza di ciò.

Il cosiddetto stile internazionale ha poi internazionalizzato la mancanza di fantasia e di comunicatività, la trascuratezza e l'assenza di qualità.

Il pensiero ecologico dunque non può che propugnare un linguaggio formale diverso.

Anche il cosiddetto postmodernismo è frutto di un pensiero antiecologico, ad un ordine del futuro si è sostituito un ordine del passato.

L'architettura del monumento alla modernità ha sostituito la modernità con il passato, ma si tratta pur sempre di un ordine statico, idealistico che dimentica la vita. La storia quando diventa una funzione massimizzata è altrettanto dispotica dell'idea di progresso tecnico scientifico.

L'architettura dunque si può distinguere non tanto in moderno o postmoderno, estremi di una falsa antinomia, quanto invece in un'architettura idealistica ed un'architettura fenomenologica più attenta al sociale e al luogo.

Architettura di un ordine astratto, geometrico, rigido ed architettura di un ordine organico o un ordine psicologico.

Architettura chiusa in sé ed autocompiaciuta (P. Coppola Pignatelli) ed architettura delle relazioni.

È evidente che solo quest'ultima si può considerare ecologica nel senso di favorire la vita e quindi di discendere da un pensiero sistemico e di favorirlo (Bateson).

La città ecologica verso un nuovo ordine

Le nostre città attuali mostrano la loro inadeguatezza alla qualità della vita proprio perché sono state pensate in termini di separatezza e non di relazioni. Le città, pensate in termini di separatezza e non di relazioni. Le città sono state pensate come sommatoria di oggetti, di aree, di monumenti e non come intreccio di relazioni. Sono state pensate tenendo presente di massimizzare una funzione a scapito delle altre (basti pensare alle trasformazioni apportate a Parigi dal barone Haussman in periodo di restaurazione con la funzione celebrativa e militare).

Da circa duecento anni dunque l'espansione della città è stata regolata da queste strutture mentali che hanno massimizzato il loro effetto grazie allo sviluppo della tecnica. "È l'aggiunta della tecnica moderna al vecchio sistema che ha prodotto lo squilibrio attuale" (Bateson).

La separatezza disciplinare, e il fatto poi che ogni disciplina debba costituire un mondo a sé con delle sue leggi, è un'altra conseguenza dell'ordine costituito, rigido che non lascia spazio ad un nuovo ordine, perché considerato disordine.

Alla separatezza disciplinare corrisponde poi, nella morfogenesi urbana, la specializzazione delle aree, la loro monofunzionalità che determina poi oggi il fenomeno del dismesso e del degradato con tutte le implicazioni che ne derivano.

Il pensiero meccanicistico si è poi tradotto in geometria elementare, nella legge della squadra, che bene si adattava alla speculazione edilizia: a livello simbolico R. Guenon, risalendo al simbolismo massone, ci dice che l'uomo sta tra la squadra e il compasso.

Esiste quindi nella nostra città uno squilibrio determinato dal prevalere di una o due componenti a scapito delle altre, dal prevalere di un ordine statico determinato a priori e calato sul territorio.

Nel simbolismo alchemico gli elementi componenti dell'universo terra, acqua, aria e fuoco si compongono dinamicamente per favorire la vita ma nella nostra città l'aria e l'acqua non sono più presenti o se lo sono è per ricordarci che sono inquinati e quindi noi li viviamo come nemici.

G. Bachelard ci dice che a livello simbolico ogni fonte innesca il mito della "fontana della giovinezza", cui è collegata la "speranza della guarigione", ma quale fonte della città inquinata può assolvere a questo compito?

La semplificazione dunque di ogni ordine statico toglie il senso della complessità e del mistero che sono le caratteristiche della vita.

I piani rigidi e schematici costituiscono una forma di colonizzazione del territorio che produce disaffezione, irregimentazione, ribellione, schizofrenia, è come la madre che attrae ma respinge, e produce non accoglienza. Manca quindi la topofilia che fa scattare la generale partecipazione ad una riqualificazione del proprio luogo di abitazione.

Le zone periferiche risultano dunque sempre più dequalificate in relazione ad un ordine gerarchico che vede nel centro e nei suoi monumenti ricondurre sempre più rappresentatività con tutti i disegni che ne derivano ed in particolare per il traffico. Generalmente ciò ha prodotto disinteresse per la qualità del progetto salvo che nei casi dei monumenti ai poteri che si contendono il territorio.

Cultura ecologica

Oggi però ci troviamo di fronte ad una nuova cultura emergente che definirei ecologica, anche se questo termine si presta ormai al riduzionismo, che tende a sottolineare come i frutti saporosi del progresso scientifico e tecnologico possono essere colti senza dover pagare prezzi troppo alti e senza dover ingoiare il veleno del degrado a patto che si cominci a pensare diversamente e quindi a valutare con occhio diverso le questioni che la città ci pone. È possibile tutto questo nella nostra società della sovrabbondanza cattiva? Citando E. Fromm (visto che siamo invitati dalla Erich Fromm Foundation lo ritengo doveroso), "è possibile se ci rendiamo conto che si tratta di aumentare e soddisfare quei bisogni che rendono l'uomo più attivo, più vivo, più libero, in modo che non sia impulso da passioni ne esista semplicemente come qualcosa che reagisce a stimoli, ma che acquisti vitalità", che sia più deciso, che si mostri interessato a esplicare le forze in lui riposte e a vivificare, arricchire, dare slancio a se stesso e agli altri (L'amore per la vita).

Tutto sommato le contraddizioni e i disequilibri delle città moderne hanno prodotto certi aspetti che costituiscono motivo di riflessione sul modo di operare e interpretati creativamente possono costituire un rilancio del vivere urbano.

I vuoti prodotti dalla dismissione delle aree monofunzionali sono una grande occasione da non perdere affinché dal dismesso, dal rifiutato, dall'ordine antico rinasca la polis.

Del resto non sono solo le aree ex industriali a subire fenomeni di disuso come dicevamo ma anche lo saranno il terziario ed interi quartieri abitativi, ecc... Da ciò può nascere una nuova forma come attenzione alla vita, come frutto di nuova sintesi tra ordine e disordine per un nuovo ordine superiore, un ordine vitale che integri anche la necessità di cambiamento e di adattamento continui. Ciò comporta necessariamente cambiamenti anche dolorosi come il passare da una concezione monocentrica ad una policentrica e da un accentramento amministrativo ad un decentramento perché la città sia vista sempre come un insieme di sistemi di relazioni, e quindi un insieme di piccole comunità interrelate e non una sommatoria di aree separate. In questa concezione della città le destinazioni d'uso vanno concepite come occasioni per riconnettere i tessuti di relazioni complesse e vanno previste azioni e retroazioni come in tutti i sistemi viventi con attenzione ai bisogni reali dell'utenza. Non è più possibile un ordine rigido idealistico (sia del passato che del futuro) calato dall'alto, la natura procede per errori e correzioni di errori e questo deve essere possibile anche nella organizzazione della città seguendo una antropo-socio-ecologia (Morin) che faccia da guida alla natura e nello stesso tempo si lasci guidare dalla natura.

Nessun salto all'indietro quindi, né salto nel futuro utopistico, ma sintesi delle esigenze di tradizione e di valori antichi (antropologici) e necessità di sviluppo tecnologico per una città incontro tra natura e cultura.

Citando infatti L. Strauss si potrebbe concludere con questa bellissima definizione che bene si adatta al titolo di questo convegno: "la città si forma alla confluenza della natura con l'artifìcio. Agglomerato di esseri che racchiudono la loro storia biologica entro i suoi limiti e la modellano con tutte le loro intenzioni di creature pensanti, la città, per sua genesi e per forma, risulta contemporaneamente dalla procreazione biologica, dalla evoluzione organica e dalla creazione estetica". Essa è, nello stesso tempo, oggetto di natura e soggetto di cultura; individuo e gruppo; vissuto e sognato, cosa umana per eccellenza.

* Direttore Istituto Uomo e Ambiente, Milano.

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