Indice generale

PSICOANALISI NEOFREUDIANA

A cura dell' International Foundation Erich Fromm
Periodico quadrimestrale
anno XX numero 3 speciale
Registrato al Tribunale di Prato il 01/06/1988 al n. 133
Comitato Scientifico - Coordinatore: Irene Battaglini

Stampato in proprio - diffusione via Web
Direttore Responsabile: Ezio Benelli
Editing: Irene Battaglini
Polimnia - Musa della narrazione

ECOLOGIA e TRADIZIONE ipotesi intorno ad un ideale (irrealizzabile) di città

Vinicio Serino *

Dobbiamo ammetterlo tutti. Non c'è nessuno tra quanti vivono una normale esistenza urbana che almeno una volta non abbia maledetto la città. Per il rumore intensissimo ed insopportabile che provoca il suo traffico alienante. Per l'inquinamento, lo smog, l'irrespirabilità dell'aria. Per il deturpamento ambientale, per la rovina dei monumenti, per il senso di degrado che tutto questo caos di uomini e di macchine produce.

Eppure la città è, da qualunque angolo di visuale la si consideri, una invenzione importante. Perché è costruita in funzione dell'uomo, delle sue esigenze, della sua salvaguardia, del suo piacere. È, o almeno dovrebbe essere, il luogo creativo per eccellenza, il centro vitale nel quale l'individuo diventa socius, entra in relazione - che si presuppone feconda e vicendevolmente utile - con gli altri. Se si vuole, realizza un aliquid novi.

E, non c'è alcun dubbio, un tempo la città era proprio questo. Un perfetto meccanismo della creatività umana.

Ma anche qualcosa di più. Nel Medioevo italiano, e segnatamente nel periodo compreso tra gli inizi del 200 e la prima metà del 300, la città fu addirittura considerata un autentico capolavoro del genio e della intraprendenza della Comunità degli uomini. Base stessa per la formazione e la rinascita di tutti quei grandi valori ideali ai quali poi, nel bene e nel male, si sarebbe ispirata la nuova e moderna Europa.

Ricorda, al riguardo, un raffinato cultore di Storia della Tradizione, Titus Burckardt, pronipote del grande storico, che la vera città è quella intesa al modo di Caterina Benincasa, la mistica senese gratificata dalla superiore illuminazione dello spirito. Una città che sia immagine dell'anima. Dell'organismo vivente costruito secondo una equilibrata, perfetta armonia. Dice appunto Burckhardt, mirabilmente interpretando l'essenza più vera della spiritualità cateriniana: "le mura che...circondano" la città "stanno a significare il confine fra il mondo esteriore e quello interiore; le porte sono i sensi o le facoltà che collegano l'interno con l'esterno: l'intelletto...esamina tutti quelli che si avvicinano alla porta, distinguendo gli amici dai nemici, e il libero volere protegge la sicurezza della città. In essa zampillano fontane, al riparo delle sue mura si adagiano i giardini, e al centro, dove è il suo cuore, sta il Santuario" (Siena città della Vergine, pag. 73).

Questa la splendida metafora che la civiltà medievale ci ha lasciato in eredità.

Una città che respira come un qualunque altro essere vivente, con tanto di testa pensante e razionale. Di cuore, sede di ogni sentimento. Di visceri, vene, ossa, rappresentate dalle strade, dai vicoli, dalle mura imponenti che difendono la comunità da tutti i pericoli.

È il sangue, la linfa che scorre nelle arterie dell'organismo-città, quello che rende possibile la sua esistenza. Ed il sangue, ovviamente, non può che essere rappresentato - al livello simbolico, si intende - dai cives, dagli abitanti: ciascuno dei quali, attraverso la propria collocazione sociale, l'esercizio del mestiere e il ruolo, apportano continuamente energie nuove, forze ulteriori, tutte impiegate con il solo obiettivo di irrobustire l'organismo comunitario.

Tutto questo, oggi, sembra irrimediabilmente perduto. Chi pensa più, nella edificazione di qualunque città, ad impiantare una struttura armonica ed equilibrata, dove ognuno ed ogni cosa sia rigorosamente al posto che le compete, con una funzione precisa da svolgere nel comune interesse? Nel Medioevo eroico - troppe volte dissennatamente considerato barbaro ed incivile - la città nasce secondo un piano prestabilito e con una sicura finalità. Occorre riprodurre nelle chiese, nei palazzi, nelle semplici case, l'ordine dell'Universo. Un ordine fissato a livello superiore e che si ritrova, per una sorta di principio di simpatia universale, in tutte le realtà. Dalla più imponente - quella del cielo e degli astri - alla più minuta ed in apparenza secondaria. L'uomo, sia come socius, sia come individuo, non si sottrae alla ineluttabilità di questa regola. Deve impostare la propria esistenza avvertendosi in armonia con la legge generale dell'Universo. Più che col Dio persona del Cristianesimo, con quella Energia sublime ed ordinante che pervade della propria essenza ogni cosa.

A proposito di questa sorta di "ideologia della città" Jacques Le Goff, il grande storico francese del Medioevo, afferma, in una delle sue opere più famose: "La società urbana era riuscita a creare dei valori comuni in una certa misura a tutti gli abitanti: valori estetici, culturali, spirituali". Personalmente aggiungerei soprattutto spirituali. E continua: "II bel S. Giovanni di Dante era l'oggetto della venerazione e dell'orgoglio di tutti i fiorentini" (La civiltà nell'Occidente medievale, pag. 318). D'altronde, nota sempre lo stesso Le Goff, Fra Bonvesin de la Riva, a proposito delle meraviglie della sua Milano, scriveva, nell'anno del Signore 1288: "La città ha forma di cerchio e la sua meravigliosa forma rotonda è un segno della sua perfezione". È infatti noto, che secondo la Tradizione, il cerchio è simbolo di completezza, è un richiamo geometrico alla perfetta armonia celeste. Così lo intese Dante nella sua Commedia, giacché, come ricorda Maria Madeleine Davy per l'uomo del Medioevo "il cerchio esprime il celeste" e "rispetto al quadrato" sarà "quello che è il cielo rispetto alla terra" (II simbolismo medievale, pag. 145). Il Sepolcro di Cristo, l'anastasis di Gerusalemme, ha appunto la perfezione della forma rotonda.

Questa concezione così elevata della città medievale, ispirata ai canoni di una superiore armonia, è giunta fino a noi attraverso più testimonianze artistiche dell'epoca.

Per comodità, ed un pochino per carità di patria, ne citerò una sola: il ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti sul Buon Governo, conservati nel Palazzo pubblico di Siena. Qui l'idea della città perfetta risulta evidentissima, in tutta la sua valenza più intima. Il quadro che emerge è veramente splendido e paradigmatico della filosofia che il Lorenzetti voleva spiegare, ai suoi contemporanei anzitutto, ed alla posterità poi. Case, torri, palazzi, lo scorcio lontano della cattedrale danno, con il loro addossarsi, quel senso dello stare insieme senza soluzioni di continuità, tipico del nostro medioevo mediterraneo: l'idea stessa dell'unità cementata e vincolata del sol tutto. Si tratta, come ha scritto Gabriele Borghini, di un esempio di città felice, dove tutto funziona in forza delle tre regole auree dell'Utile, del Necessario e del Diletto (II Palazzo Pubblico di Siena, pag. 220). I personaggi che si intravedono sono i più tipici di quel mondo irrimediabilmente lontano: gli artigiani che lavorano alacremente al riparo della loro officina. Il magister che dall'alto della sua cattedra insegna ai propri studenti. Ricchi signori che fieramente varcano, a cavallo, le mura cittadine. In lontananza un gruppo di operai dediti ad innalzare le strutture di un palazzo in costruzione. Ed al centro, ancora ossessivo richiamo all'idea di unità armonica di quella felix comunità, il ballo gioioso di un gruppo di splendide fanciulle, che danzano in circolo esaltando i buoni valori della societas senensis.

Con la forza espressiva della sua pittura Lorenzetti spiega, attraverso la rappresentazione delle virtù che ispirano il governo di quella città così lieta, che l'esistenza di questo universo idillico è resa possibile grazie all'intervento della Sapienza - la Sapienza Santa avrebbe detto Dante Alighieri - che sovrasta, col proprio libro chiuso - segno dell'ineffabile - la Giustizia, reggendo, sopra di questa, un'enorme bilancia in perfetto, stabile equilibrio. Come dire che la città è governata attraverso una sapiente giustizia che sa equamente distribuire e commutare, secondo i più classici dettami della filosofia tomistica.

La civitas felix è tale grazie all'apporto armonioso delle virtutes. Altrimenti sarebbe inevitabilmente perduta, come è testimoniato dagli Effetti del Cattivo Governo, emblematicamente realizzata sulla parete ovest - quella del sole che tramonta - dove in luogo delle pacifiche e laboriose storie della città ideale, sono effigiali minacciosi soldati in arme, uccisioni, agguati, arresti. Qui veramente, come nota sempre il Borghini, assistiamo alle scene della città - Babilonia, sulla quale regna ormai stabilmente il demone della Tirannia, dalla testa grifagna e dai lunghi denti animaleschi. Con la presenza di tutto quanto è contrario all'ordine ed alla stabilità: la Divisione, il Furore, la Guerra, la Frode, la Prodizione, la Crudeltà.

Due mondi diversi si confrontano e si contrappongono, evocando, attraverso una simbologia che Erich Fromm avrebbe definito universale, immagini di una evidenza palmare.

Ma questa città ideale, sulla quale il Lorenzetti costruisce la sua splendida allegoria, è davvero esistita? Lo Spirito Santo della Sapienza è veramente sceso ad illuminare i cittadini di Siena, o di altre urbes dell'Italia Medievale pervasa dalla vis religiosa ed, insieme, da quel mirabile desiderio di costruire, di produrre, di fare, tipico degli homines che hanno superato indenni la paura dell'Anno Mille?

È difficile dare una risposta precisa ma, indubbiamente, al livello di interpretazione tradizionale, e con riferimento - ancora una volta - alla suggestione che il simbolo è in grado di suscitare possiamo dire che l'uomo medievale ha fatto molto per realizzare l’opus magnum della città perfetta, immagine, come aveva insegnato S. Agostino nel suo celeberrimo De Civitate Dei, della superiore Gerusalemme celeste,

Due aree della città sono, al riguardo, estremamente rappresentative: la Cattedrale, centro dello spazio sacro, ed il Palazzo Pubblico, con il corollario della sua piazza, dalla significativa forma di conchiglia.

Se la città è un corpo armonioso non vi è dubbio alcuno che la Cattedrale ne rappresenta la testa, il luogo per eccellenza, del pensiero e della meditazione. Dice, in proposito, Georges Duby, in un'opera che è ormai diventata un classico: "La cattedrale era la casa del popolo. Del popolo cittadino". La gente, soprattutto i borghesi, intesi qui come abitanti del borgo, "non vi entravano solo per pregare. Vi si riunivano le loro confraternite, e l'intera comunità per le sue assemblee". A differenza del monastero gelosamente "ripiegato su se stesso" "la cattedrale è completamente aperta. È proclama pubblico, discorso muto che si rivolge alla totalità del popolo fedele, e innanzitutto dimostrazione di autorità". Essa afferma "che ci si guadagna la salvezza nell'ordine e nella disciplina, sotto il controllo di un potere, o piuttosto di due poteri associati, quello del vescovo e quello del principe" (L'Europa nel Medioevo, pag. 93 e segg.).

Ancora una volta, dunque, l'idea di un ordine, di una gerarchia armonica, di una autorità accolta spontaneamente dal cives e ben diversa, da questo punto di vista, dall'oppressivo ed arrogante potere tirannico.

Ma soprattutto va sottolineato l'aspetto pedagogico, educativo della Cattedrale, che, appunto, tanto per riprendere il pensiero espresso da Duby domina sì, ma non con le armi, quanto, piuttosto, con la forza suadente della parola. "Insegna dei dogmi, la via maestra da cui nessuno deve deviare, delle regole, un'etica che ognuno deve mettere in pratica senza esitazione". Ma, attenzione, questo messaggio lo trasmette, anche e soprattutto attraverso la forza di persuasione dell'immagine mediante quello strumento che, acutamente, lo stesso Duby definisce "iconografìa pedagogica". Al suo esterno come pure al suo interno la cattedrale è un autentico liber mutus, un libro che non si esprime attraverso il suono - flatus vocis, per dirla con Roscellino - ma col ricorso alla potenza suadente del simbolo e dei suoi occulti - ma palesi, per l'intimità del cuore - significati.

L'edificio è orientale in modo che, al solstizio d'inverno, il sole calante colpisca la splendida facciata. Richiamo, più che evidente, ad una religiosità "naturalistica", all'idea pagana di un Uno, di una forza Superiore che illumina e feconda tutte le cose. Ogni particolare, anche il più piccolo ed insignificante, è costruito secondo una sorta di conoscenza segreta, che ha il solo scopo far sentire l'individuo parte di un insieme, armonico tutto. L'interno stesso della Cattedrale è eretto ad immagine e somiglianza del cosmo: con il soffitto della cupola ornato di stelle che rappresenta il ciclo; col pavimento dalle forme squadrate che raffigura la terra; e con le colonne, in numero fatidico di dodici, che richiamano, inevitabilmente, i dodici mesi dell'anno o, se si vuole, astrologicamente, le case stesse dello zodiaco.

La Cattedrale parla. Il suo è linguaggio di amore, ma anche di tradizionale ed universale sapienza. Lancia un messaggio che non potrà essere rinvenuto in nessun libro. La città ascolta recependo quella voce come l'emanazione diretta di un Sacro che, solo in apparenza, è imperscrutabile. Mentre coesiste col mondo degli uomini, ma ispira i sentimenti e l'azione, ordina, nel senso tutto medievale che questa espressione possiede, i loro comportamenti.

La felix civitas conosce questo segreto e custodisce, con gelosia, la sapienza santa che quello spazio superiore elargisce costantemente. Sarà anche un caso ma quando, a metà del Trecento, qualcuno evidentemente poco rispettoso di questa idea di ordine sublime, si provò ad ampliare le strutture della vecchia cattedrale, modificandone anche l'orientazione, sulla città si abbatté una terribile pestilenza, che ne segnò l'irrimediabile decadenza: certamente solo una combinazione, che però molti dei contemporanei interpretarono come un minaccioso ammonimento diretto all'uomo affinché cessasse di turbare la superiore e saggia armonia del luogo.

I poli sui quali si sviluppa la città - soprattutto in senso spirituale - sono due. Accanto alla Cattedrale, il Palazzo Pubblico e la sua splendida piazza, il Campo. Era, come notava felicemente uno dei massimi storici dell'arte nazionali, Cesare Brandi, "il polo laico della città", non contrapposto e neppure staccato dal Duomo. Ma certamente distinto, a sanzionare, anche plasticamente, l'avvento della nuova era, caratterizzato da due auctoritates, quella religiosa ed, appunto, quella civile e popolare.

Pieno di armonizzazione per la potenza evocata da questo splendido palazzo, dalla sua terra e dal fascino della sua piazza a forma di conchiglia - autentico, sublime unum - Georges Duby ha affermato che tutti i quartieri cittadini convergono nella direzione dello spazio pubblico. Si tratta, continua infatti lo storico francese, di un razionale "piano urbanistico - il più antico dell'Europa moderna - che catalizza l'attenzione su di un unico punto, l'immensa Conca nella quale la popolazione poteva ascoltare la voce della Repubblica, delle sue Leggi, dei suoi regolamenti".

Singolare è la funzione del Palazzo. Si tratta, sicuramente, di una struttura attrezzata come una fortezza, capace di respingere sommosse o di sostenere eventuali assedi. E da questo punto di vista è senza dubbio alcuno simbolo del potere civile. Ma, singolarmente e quasi paradossalmente, in quanto espressione di una forza non arbitraria, quanto, piuttosto fondata sul consenso, la sua facciata è letteralmente costellala di porte. Ben dieci, come osserva Cesare Brandi, aperte, significativamente aperte alla popolazione ed alle sue proprie necessità. Inoltre la torre: alta, svettante, innalzata nel cuore della città a simboleggiare la sua potenza militare. Qualcuno vi ha voluto vedere una immensa spada piantata fieramente al centro dello spazio guerriero, sorta di ammonimento nei confronti di quanti avessero voluto attentare alla integrità della Repubblica.

Ma se queste sono le immagini immediate che la visione di insieme sa suscitare, altre valenze simboliche si incontrano.

Recentemente alcuni studiosi - e segnatamente uno, il professor Mario Papini - hanno ipotizzato la tesi che la piazza sia stata costruita anche come una sorta di immenso orologio cosmico, grazie al quale il populus avrebbe preso contezza del fluire delle stagioni secondo quella concezione, così tipicamente medievale, del tempo circolare, fatto di continui, ininterrotti ritorni. Dal piccolo campanile a vela, posto sulla destra del palazzo - il solo esistente fino al Seicento - l'ombra del sole veniva a proiettarsi sulla piazza e, in occasione del solstizio d'inverno, a mezzogiorno in punto andava - e va ancora - a scaricarsi su di una piccola pietra -1'unica in un autentico mare di mattoni rossi - posta sul terzo spicchio di destra del Campo. Una pietra quadrata dalle emblematiche misure del cubito sacro, quello utilizzato per elevare monumenti di sapienza iniziatica come la Piramide di Cheope o, in tempi più recenti, la Cattedrale di Chartres.

Infine un'ultima annotazione sempre di carattere mitico-simbolico. Sulla forma, assolutamente inconsueta della piazza, e che da questo punto di vista, fa di Siena una vera peculiarità. Si è detto che questo spazio civile rappresenta il cuore pulsante della città, quello dove scorre ed è in certo modo sublimatala vita attiva, degli artigiani, dei mercanti, dei produttori e, ovviamente, dei loro governanti. La piazza però non esprime solo questa valenza...cardiaca. Essa è, proprio in virtù della sua struttura assolutamente peculiare, anche una sorta di utero materno, il centro della fecondità, della creatività, della forza generante. La forma della conchiglia suscita proprio questa suggestione. Legata alla idea del pellegrinaggio alla volta di S. Iacopo di Compostela, essa, per ciò stesso, rappresenta qualcosa di spiritualmente rigenerante. Qualcuno vi ha visto il guscio dischiuso dal quale l'anima si è innalzata verso le Superiori Dimensioni. Per parte mia osservo che la conchiglia è strettamente legata all'idea stessa della donna, della sua femminilità; della sua capacità di dare la vita a nuovi esseri. Certamente in questo modo la concepì il Botticelli quando rappresentò Venere, appunto la divinità dell'amore, mentre nasce splendida nelle sue fattezze divine, dalla spuma del mare ergendosi sopra una immensa vulva. Quasi donandosi, con la forza del proprio amore, al mondo, altrimenti arido ed infelice, degli uomini.

Suggestioni, si dirà. E probabilmente è vero. Anche perché certo quella città ideale raffigurata dall'arte somma di Ambrogio Lorenzetti, e plasmata dalla miriade di Architetti, muratori, scalpellini, pittori e scultori che edificarono la testa sapiente

o Cattedrale - ed il cuore pulsante di vita - o Campo - esprimevano solo sublimi allegorie. Che, troppe volte, erano contraddette, da una realtà fatta non di ordine, ma di faziose e caotiche contrapposizioni. Dove la funzionalità dell'organismo sociale era troppo spesso messa in discussione da vaste frange di cives solo in apparenza tali, ma di fatto esclusi da tutto. Non di rado costretti ad una vita di miserie e di stenti. Senza contare poi il dramma continuo della guerra con le città vicine, l'esaltazione del nazionalismo più gretto e deteriore, lo sfruttamento dissennato e senza scrupoli del contado.

Eppure, a dispetto di tutto, la suggestione rimane. Perché quella città, come tante altre di quelle che hanno vissuto l'irripetibile esperienza delle libertà comunali, sa ancora oggi parlare al cuore dell'uomo che abbia forza ed umiltà di ascoltare. Il disegno, il piano, il senso, per dirla con un grandissimo studioso delle religioni, Max Weber, anche quella civiltà ci ha lasciato, oggi sembra appartenere ad un passato remoto. Estremamente remoto.

Che fare, dunque?

Si potrà obiettare, per altro legittimamente, che è facile stigmatizzare il presente, rifugiandosi, comodamente, in una acritica esaltazione di un passato che, magari, al livello effettuale, è stato sicuramente diverso da come lo intendiamo noi oggi. Molto più complesso e, probabilmente, molto meno...elevato.

Ed è sicuramente vero. Ma è anche incontestabilmente vero che l’umanità soprattutto dopo l'avvento della rivoluzione industriale prima, di quella tecnologica poi, è sicuramente cambiata. E per quanto mi riguarda certamente non in meglio, Se l'uomo medievale, almeno nella sua condizione sublimata, conduceva una esistenza tutta orientata verso un fine supremo, attivando comportamenti, iniziative, lavori che, nel rispetto di una logica "spirituale" dovevano tendere ad un superiore obiettivo - l'incontro col Trascendente, ovvero con quello che appariva tale - tutto questo oggi non esiste più.

All'idea dell'agire in funzione del raggiungimento di una più elevata dimensione, si è ormai sostituito la concezione di un progresso ininterrotto e meccanico che ha, come fine supremo, il conseguimento di un utile materiale, essenzialmente ed egoisticamente di natura economica.

Dice in proposito un insigne studioso di fenomeni economici, Giuseppe Palomba: nel tempo arcaico e, in linea generale per l'intero medioevo, il mestiere, cioè l'attività che connota la presenza dell'individuo nel mondo "era inteso come tecnica diretta...a stabilire un collegamento fra l'uomo e Dio". Il compimento del lavoro, il "capolavoro", nel "mentre costituiva il titolo per il conseguimento del grado di Maestro, doveva indirettamente servire da offerta al Signore" (Antiche Corporazioni, pagg. 54-55).

È fin troppo facile constatare come, nella nostra età così disinibita e disincantata - sempre per usare una espressione cara a Max Weber - questo modo di sentire e vedere il mondo sia andato completamente perduto.

La tecnica con cui sono nate o si sono trasformate le nostre città è lì a testimoniarlo. Tutto è materia, anzi materialità più deteriore. Tutto è profitto, convenienza economica, utile gretto. Le città sono invivibili perché il progresso, con le meraviglie della tecnologia e delle macchine, le ha rese tali. I cittadini, che nell'età medievale vivevano la loro condizione di soci, e quindi intessevano una esistenza basata sul rapporto con gli altri e con Dio, oggi sono sempre più vuoti ed aridi individui. Chiusi nella loro solitudine. Imprigionati nelle loro auto di metallo. Costretti nelle loro case alveare. Limitati nella comunicazione col mondo dalla prepotenza dei mass media, tv in prima.

Il problema è, allora, quello di lavorare sì per una soluzione ecologica, ma a condizione che si tratti di ecologia dello...spirito.

Ma è veramente possibile fare qualcosa? Anche a questa domanda è tutt'altro che semplice rispondere. Conforta, comunque, il fatto che molti ormai si stanno orientando sulla necessità di cambiare, di mutare, per quanto possibile, il proprio modo di essere e di esistere.

Recentemente, a testimonianza di questa convinzione che molto faticosamente si sta facendo strada, ho tratto soddisfazione dalle affermazioni che un noto studioso di problemi ecologici, Enzo Tiezzi, ha espresso nel suo libro "Bugie, silenzi e grida". Di fronte ai rischi dell'ambiente, alla corruzione fisica e non solo fisica delle città, al veleno del progresso, afferma Tiezzi, è indispensabile un "drastico cambiamento di rotta". Cioè, "un nuovo modello di sviluppo economico" che dovrà comportare scelte amare ma necessarie quali: l'abbandono definitivo del "consumismo sfrenato", "lo smantellamento delle grandi concentrazioni industriali", "il recupero della agricoltura al suo ruolo primario".

E allora, se mi è consentito concludere con una nota di speranza, vorrei dire, insieme con Erich Fromm, che l'uomo ha dimenticato tanto, troppo, di quello che sapeva. Ha dimenticato il linguaggio universale del simbolo. Ha dimenticato la comprensione del mito e di tutte le storie fondate su esperienze mistiche e superiori. Ha dimenticato Dio, se si vuole, per il Mondo, quello tangibile, ma effimero, delle sue sensazioni. E ' cioè diventato, per dirla con un grande studioso del sacro, Mircea Eliade, "areligioso". Nonostante ciò, "benché spiritualmente cieco", conserva nel suo intimo il ricordo del suo grande passato. E, forse, ha "ancora abbastanza intelligenza per ritrovare le tracce di Dio nel Mondo" (II Sacro ed il profano, pagg. 134-135).

BIBLIOGRAFIA

C. Brandi (a cura di), Il Palazzo pubblico di Siena: vicende costruttive e decorazioni, con testi di C. Brandi, M. Cordaro, G. Borghini; ricerche di F. Mezzedimi, M. Terrosi, U. Morandi, Milano 1983

T. Burckhardt, Siena città della Vergine, Milano 1988

M.M. Davy, Il simbolismo medievale, Roma 1988

G. Duby, L'Europa nel medioevo. Arte romana, arte gotica, Milano 1987

M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino 1984

J. Le Goff, La civiltà dell'Occidente medievale, Torino 1981

G. Palomba, Antiche corporazioni, Ravenna 1981

C. Ravaioli e E. Tiezzi, Bugie, silenzi e grida: la (dis)informazione ecologica da un'annata di cinque quotidiani, Milano 1989

* Università di Siena.

Indice di questo numero

Indice generale