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PSICOANALISI NEOFREUDIANA

A cura dell' International Foundation Erich Fromm
Periodico quadrimestrale
anno XX numero 3 speciale
Registrato al Tribunale di Prato il 01/06/1988 al n. 133
Comitato Scientifico - Coordinatore: Irene Battaglini

Stampato in proprio - diffusione via Web
Direttore Responsabile: Ezio Benelli
Editing: Irene Battaglini
Polimnia - Musa della narrazione

IL RUOLO DELLO STRESS DELLA CITTÀ NELL'INSORGENZA DELLE MALATTIE PSICOSOMATICHE: lineamenti per una Psicologia del Sé Ecologico

Paolo Cappellotto - Alfredo Tridenti *

La medicina psicosomatica non è una specialità della medicina né ci può essere uno specialista in tale settore. Incomincia ad essere una chiave di lettura, un modello epistemologico applicato a tutti i tipi di patologia, poiché si riferisce all'individuo nella sua totalità bio-psicosociale, cercando di indagarlo e comprenderlo nei rapporti tra funzioni psicologiche e sociali e funzioni somatiche, nel loro continuo e reciproco condizionamento.

Alla base di ciò sta la convinzione che non può esistere un disturbo somatico che non abbia un corollario psichico, così come non può sussistere un disturbo psicologico senza un substrato organico.

Le ipotesi teoriche su cui la medicina psicosomatica si basa sono andate progressivamente evolvendo e cambiando; non è più valido il modello classico, secondo cui i disturbi psicosomatici maggiori (ulcera, ipertensione, asma, cefalea, colite) sono causati da pulsioni istintuali (aggressive o sessuali) censurate dalla coscienza, rimosse e convenite nel corpo, ne si può più sostenere quella rigida impostazione deterministica psicoanalitica, secondo la quale ogni singolo disturbo psicosomatico è significato da un preciso quadro o conflitto psicodinamico.

Più interessanti ci appaiono quei modelli teorici che, come quello di Pancheri (1), cercano di integrare i risultati clinici e sperimentali provenienti dagli indirizzi psicodinamici, sociali, neurobiologici ed endocrinoimmunologici. Questi modelli integrativi tendono a sottolineare, giustamente, la multifattorialità nell'eziopatogenesi delle malattie psicosomatiche e la lunga catena di eventi psicologici e psicofisiologici che precedono l'estrinsecarsi dei disturbi.

Nel tema di questo Convegno ci sembra giusto riservare la nostra attenzione a quei processi mentali che attualmente rappresentano l'oggetto di studio della psicologia cognitivistica-informazionale (2) e della psicoterapia (3).

I processi mentali in base ai quali l'individuo costruisce la propria consapevolezza si svolgono all'interno di organismi complessi inseriti in ambiente complesso, insieme fisico e sociale.

La consapevolezza di sé, il Sé, nella sua accezione fenomenologica-esperenziale (4), appare come un insieme di funzioni mentali, di sottoinsiemi indipendenti ma collaboranti; tra questi ha attirato il nostro interesse il Sé come percepito riguardo all'ambiente, il Sé ecologico che entra in gioco nell'interazione con l'ambiente (5), (6).

Ambiente urbano, stress e malattie psicosomatiche

I sintomi e i disturbi psicosomatici (disturbi psicofisiologici secondo la classificazione americana del DSM III) sembrano frequenti nelle società industrializzate mentre sono, all'apparenza, rari tra le comunità non industrializzate.

Gli stress crescenti dovuti all'eccessivo rumore e all'inquinamento dell'ambiente urbano, alle difficoltà quotidiane e croniche che trovano i pendolari nelle ore di punta del traffico sono tutti eventi che logorano la pazienza ed esauriscono le riserve di energia.

Si può dire che questi eventi stressanti abbiano il ruolo importante di sensibilizzare le persone a reagire in modo eccessivo ad esperienze di vita sgradevoli, più frequenti nei grandi agglomerati urbani.

Lo sviluppo spesso disordinato e distorto delle zone urbane determina frequentemente modalità di vita invivibili e produce una patologia dello sviluppo che è sviluppo della patologia o ecopatia urbana.

Le grandi concentrazioni urbane facilitano la reciproca estraniazione ed indifferenza tra gli abitanti per arrivare spesso a produrre modalità di comportamento sempre più ostili e paranoiche.

Certamente, le grandi città rappresentano dei fattori di rischio per la salute psico-fìsica per gli abitanti, creatrici di nuove forme di alienazione e di aggressività (7), ma non ci sentiamo di legarci, tout-court, al partito dei sostenitori della resistenza moralistica contro i centri urbani.

Ci pare necessario affermare che la grande città è anche il risultato di un costante e profondo bisogno di comunicare che riflette la pulsione relazionale degli individui. Abbiamo tutti noi il bisogno (e il piacere) di partecipare in massa ad avvenimenti religiosi, culturali, sportivi; sentiamo il desiderio di vedere, sentire, ascoltare tante altre persone e, last but not least, il piacere, consumistico e narcisi-stico, di comperare, spendere, mangiare in compagnia.

Cardiopatie ischemiche e modelli di comportamento di tipo A e di tipo B

I classici fattori di rischio correlati con l'insorgenza delle cardiopatie ischemiche (età, sesso maschile, ipercolesterolemia, ipertensione, fumo) non riescono ad essere comprovati in almeno la metà dei casi (8).

In molte zone del Nordamerica ad impronta agricola, pur in presenza di una alimentazione ad alto contenuto di grassi saturi ed un largo consumo di tabacco, l'incidenza delle malattie cardiovascolari è bassa in confronto a quello di altre zone americane più industrializzate.

A Parigi, nonostante che gli abitanti di questa città siano abituati a cibi con alto tenore di grassi e a fumare molto, i disturbi cardiaci sono relativamente bassi.

Questi dati epidemiologici suggeriscono che personalità e situazioni stressanti ambientali siano implicate nell'insorgenza delle cardiopatie ischemiche.

Nel '58 due cardiologi, Friedman e Roseman (9), identificarono un modello di comportamento tendente alle malattie coronariche, chiamato tipo A. Nonostante recenti critiche, questa ipotesi rimane interessante.

Gli individui di tipo A sono caratterizzati da una spinta intensa e competitiva al successo e alla promozione, da un senso esagerato dell'urgenza di fare in fretta, da una notevole aggressività ed ostilità verso gli altri; queste persone sono superimpegnate, devono fare le cose ben fatte e da soli. In questo comportamento si può ravvisare una esagerazione dello stile di vita di chi lavora in una grande città, oppure, in linguaggio psichiatrico, un disturbo narcisistico di personalità.

Gli individui di tipo B rappresentano l'inverso: sono meno competitivi, meno affaccendati, più rilassati, seguono il corso della vita.

I dati emersi da uno studio fondato su una casistica di 3154 individui seguiti per 8 anni e mezzo hanno dimostrato come le persone identificate come appartenenti al tipo A hanno presentato una probabilità doppia di ammalarsi di una malattia coronarica. Bisogna sottolineare che, onde evitare grossi equivoci, questi dati statistici rivelano solo il rischio relativo: la stragrande maggioranza dei soggetti di tipo A non va incontro a coronaropatia (10).

Dati contrastanti emergono dal successivo studio condotto su tale casistica a distanza di 22 anni: non c'è una precisa correlazione tra un determinato modo di comportarsi e un determinato modo di morire (11).

Il legame, se esiste, tra questo tipo di personalità e il disturbo cardiaco, deve essere molto più complesso di quanto non sia identificabile attraverso un semplice questionario o qualche frettolosa osservazione nel notare un paziente tamburellare delle dita sui braccioli della poltrona di fronte al medico.

Per cercare di rispondere alla sfida della complessità, abbiamo approfondito l'analisi psicodinamica di tali soggetti: l'essenza di tali persone nel loro usuale comportamento ci sembra essere un tentativo di controllare gli eventi stressanti, sempre frequenti nel lavoro in grandi centri urbani; quando si trovano ad affrontare circostanze difficili, gli individui di tipo A si battono per controllarle e questo cronico fronteggiare l'ambiente urbano ha ripercussioni neuroendocrinoimmunologiche (aumentati livelli di adrenalina, ecc.).

Nella prospettiva ecologista del Sé che abbiamo adottato, ci sembra capire che gli individui di tipo A percepiscono in modo differente le situazioni ambientali difficili, specialmente quelle inaspettate ed indesiderabili e sono spinti a programmare e tentare di controllare al di là delle loro possibilità di controllo gli eventi stressanti: ciò sembra suggerire che in mancanza di certe caratteristiche patologiche degli ambienti urbani non si attiverebbe il modello di comportamento di tipo A.

Definiamo tutto ciò come patologia del Sé ecologico da ambiente urbano.

Nella nostra cultura, cosiddetta moderna, vi sono molti ostacoli nel cercare di ridurre i modelli patologici della aggressività e competitività; il primo ostacolo è che, in una società industriale che, come afferma Fromm (14), "fabbrica macchine che funzionano come uomini e uomini che agiscono come macchine", il comportamento di tipo A è pagante, nel senso di accrescere la produttività e il successo, anche a costo di sacrificare la felicità personale: il secondo ostacolo è che essere una persona con tale comportamento, specie per chi vive nelle grandi città, rappresenta, per molti aspetti una norma culturale indispensabile per sopravvivere.

Ci vuole spesso un infarto miocardico per costringere una persona di tipo A a prendere in considerazione la possibilità di rinunciare alla sua lotta individuale ed aggressiva tesa ad ottenere il massimo possibile di ricompense materiali a scapito di altre persone e cominciare ad apprezzare il tempo libero, l'affetto sincero verso gli altri, compreso se stesso; essere ed avere, almeno questo.

Lo stile cognitivo-affettivo di queste persone ha radici storiche, questo modello di comportamento tende ad essere insegnato, in certi ambienti, sin dalla prima infanzia facendo assimilare patterns cognitivi tipo "non sprecare il tuo tempo", "cerca di studiare molto bene perché la vita da grande sarà difficile", "essere tra i primi", "lotta per sopravvivere".

Abbandonare questo stile di vita e modificare l'ambiente urbano che lo provoca più facilmente è una sfida non solo tesa a ridurre il rischio fisico di malattia ma rivolta all'autentica essenza della nostra società industrializzata in uno dei suoi valori fondamentali.

Le psicoterapie di rilassamento (training autogeno) sono metodi efficaci per aiutare le persone a rilassarsi e raggiungere lo scopo di controllare varie funzioni del sistema autonomo, il ritmo cardiaco e la pressione arteriosa.

Riteniamo, però, che le psicoterapie psicodinamiche, tra cui una citazione di merito va alle psicoterapie dell'immagine (l'Analisi Immaginativa di Balzarini e l’Oniroterapia di Virel-Drecq) (12), (13), si propongono mete più ambiziose, come una più profonda ristrutturazione cognitivo-affettiva della personalità, lo svelamento dei modelli di comportamento patologici (tipo A, per esempio) appresi nell'infanzia per l'adattamento alle norme culturali della società pseudo-moderna e che influenzano inconsciamente le scelte di vita.

BIBLIOGRAFIA

1) Panched P., Trattato di Medicina Psicosomatica, voli. 1-2, USES, 1984.

2) Tabossi P., Intelligenza naturale e artificiale. II Mulino, 1988.

3) Cappellotto P., Neuroscienze e psicoterapia, relazione presentata al XXXVII Congresso Nazionale della Società Italiana di psichiatria. Roma, 1989, CIC Roma.

4) Jervis G., Significato e malintesi del concetto di "Sé", in La nascita del Sé, a cura di M.Ammaniti, Laterza. 1989.

5) Neisser U.. Five Kinds of Self Knowledge, Phil. Psych. v. 1. 35-39, 1988.

6) Del Miglio C., Ecologia del Sé, Bollali Boringhieri, 1989.

7) Eletti P.L., Psicologia, psicoanalisi e ambiente urbano, in Psicoanalisi Neofreudiana, a cura dell'International Foundatìon E. Fromm, anno II, n° 1.

8) Jenkins C. D., Recent evidence supporting psychologic and social risk factors for coronary disease, New England Joumal of Medicine, 294. 987-994, 1033-1038, 1976.

9) Friedman M., Rosenman R., Type A Behavior and your Heart, NY Knopf, 1974.

10) Rosenman R., Friedman M., Straus R. et al., A predictive study of coronary heart disease. The Western collaborative Group study, Jama 189:15.1964.

11) Ragland J., Brand L., New England Joumal of Medicine. 318, 65-69.1988.

12) Balzarmi G., L'Analisi Immaginativa, Astrolabio, 1987.

13) Virel A., Drecq O. Une Tecnicque Initiatique: La Decentration, Edition de "L'Arbre Vert", Paris, 1987.

14) Fromm E., Psicoanalisi dell'amore. Newton Compton, 1971.

*Scuola Superiore di Formazione in Psicoterapia e Psicosomatica di Cremona -Cattedra di Psicosomatica, Università di Parma.

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