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PSICOANALISI NEOFREUDIANA

A cura dell' International Foundation Erich Fromm
Periodico quadrimestrale
anno XX numero 3 speciale
Registrato al Tribunale di Prato il 01/06/1988 al n. 133
Comitato Scientifico - Coordinatore: Irene Battaglini

Stampato in proprio - diffusione via Web
Direttore Responsabile: Ezio Benelli
Editing: Irene Battaglini
Polimnia - Musa della narrazione

LA CITTà MALEFICA

Pier Lorenzo Eletti *

Vi confesserò che sono stato molto incerto su questo tema che battezza in una maniera inconfondibile la città come malefica. Nella realtà, più che di città malefica, voglio parlare dei veleni della città; sono d'accordo con il Prof. Guiducci che la città, di per sé, è buona. La città diventa sempre più malefica, e sempre più velenosa, per il tentativo di rapina inconsapevolmente operato dall'uomo per la passione inconscia dell'uomo di piegarla ai suoi voleri, di fare della città una macchina, una megamacchina che a poco a poco va comprimendo e uccidendo la stessa persona che 1'ha creata, cioè 1 ' uomo.

Innanzitutto vorrei sottolineare il termine ecologia: cosa significa in pratica ecologia dell'ambiente, e ecologia mentale, o meglio, ecologia umana. Qui ci soccorrono un illustre studioso e una scuola prestigiosa: L. Wirth e la scuola ecologica di Chicago, che sorge attorno ai primi del Novecento. Louis Wirth era un sociologo, che ci ha lasciato un gran numero di scritti, tutti centrati sul tema ambiente "The get type of nazionalism", "Urbanism as a way of live" che è del '38, "Urban communities of Metropolitan Region" e soprattutto nel '45 il testo, (pubblicato in Italia per i tipi di Comunità) che da il significato e il pretesto alla nostra materia "Uman ecology".

Credo che se pensiamo un po' alla genesi della città, soprattutto della nostra città italiana, vediamo - e del resto gli autori della scuola ecologica di Chicago ce ne danno ampia testimonianza - l'origine naturale della città. La città non è un prodotto artificiale dell'uomo: la città sorge da una serie di necessità e di scambi commerciali. Per esempio le città piccole, le nostre città di provincia, sorgono intorno a una piazza dove si faceva il mercato. La città nasce nell'Alto Medioevo e quindi sorge attorno ad una piazza che si chiamava Piazza delle Erbe o Piazza del Mercato. Attorno a questo luogo dove avvengono transazioni, scambi, baratti, dove si recano gli uomini che provengono dai castelli e vengono per fare compere, sorge l'agglomerato urbano. Quindi non sorge come fenomeno di pianificazione asettica o di pianificazione a tavolino. Sorge proprio per un bisogno, per una serie di esigenze che si plastificano attorno alle viuzze, alle piccole strade, alle piazze. Così nasce anche il quartiere. Cosa vuoi dire quartiere? Quartiere vuoi dire "quarto della città"; poi nasce il borgo che è il posto dove si forma un agglomerato di case, come punto di raccordo tra la campagna e la città, il borgo dove venivano lasciati i cavalli o dove si trovano delle stalle per rifocillare i cavalli.

La scuola ecologica di Chicago insiste molto su questo aspetto; mi pare sia molto importante sottolinearlo. Cioè la città è in realtà un prodotto naturale: come i terremoti, i fiumi e l'aggiustamento delle terre formano le caratteristiche fisiche di un luogo, così la città risponde ad esigenze naturali dell'uomo ed è pertanto al servizio dell'uomo. Io penso alla città medioevale, quella che si va strutturando dopo le orde barbariche, il Comune medioevale, il rifiorire delle attività economico-produttive, che qui in Toscana hanno una particolare significanza. Quindi la città da questo punto di vista è una grossa conquista dell'uomo, un suo specifico vantaggio, un suo modo progredito di vivere.

Nella scuola ecologica di Chicago la comunità umana è largamente influenzata dall'aspetto naturalistico e il Park sottolinea specificatamente che l'organizzazione sociale si articola sia al livello biotico che al livello culturale. E dalla città noi traiamo indicazioni per il comportamento umano più elevato. Ecco, allora, che la città è realmente il luogo dove l'uomo tende a sviluppare sé stesso.

Come è potuto quindi accadere che la città poco a poco sia diventata il mezzo che costringe l'uomo, che lo limita e lo avvelena? Se la città è sorta per dilatare le potenzialità umane non è arduo poter ipotizzare che essa possa tornare ad essere una città per l'uomo. Ancora ci soccorre Louis Wirth che ci dice che si cominciano a realizzare, in prosieguo di tempo, una serie di sistemi normativi e istituzionali che influiscono sul comportamento dell'uomo e provocano anche un maggiore scetticismo sul modo di vivere urbano, realizzando un maggiore controllo istituzionale. Assistiamo al fatto che la vita degli individui è regolata da controlli, da indicazioni, norme, leggi che organizzano funzioni e che diventano istituzioni. Questi fattori introducono nello studio dell'ecologia umana il concetto di "controllo": e gli studiosi della scuola ecologica di Chicago sottolineano che queste sono complicazioni sconosciute al mondo vegetale e al mondo animale. Cioè l'uomo comincia a strutturare un modo di vita urbano che poi Louis Wirth chiamerà schizoide, perché è caratterizzato dall'impersonalità e dalla eterogeneità. Ora, se la città ha origini commerciali, cioè sorge intorno ad un fascio di bisogni che in gran parte rappresentano mezzi di transazione economica, a poco a poco essa si ristruttura come fenomeno industriale. Cioè la struttura ambientale e l'insediamento urbano diventano funzione dell' attività industriale. Dove si realizza un complesso industriale, la città si struttura, se finalizzata alle attività industriali. Cioè se l'inizio, direbbe Louis Wirth, è finalizzato all'uomo, il suo sviluppo è finalizzato all'industria. Esso risulta finalizzato in maniera specifica allo sfruttamento delle risorse ed al denaro. Ecco quindi che anche le istituzioni e i controlli sociali divengono anonimi e persino riprodotti. Noi abbiamo città che si vengono strutturando su modelli di altre città, e sono produzioni estranee, non connaturate ai bisogni che la città stessa ha presentato. Si fa strada il concetto molto noto in psichiatria ed in psicopatologia, di "alienazione".

L' alienazione è il processo di cui l'uomo si rende conto allorché si è prodotto. Egli percepisce di essere alienato rispetto alla cosa prodotta, quando percepisce che la cosa non è più sua, che la cosa è un prodotto che gli si volge contro. Cioè egli è alienato rispetto ad un evento quando questo evento è un qualcosa che deve in tutti modi subire. A questa alienazione concorrono tre fattori. Il primo, essenziale, è la massificazione dei ruoli. L'individuo si trova spossessato del suo ruolo specifico, della sua identità; i ruoli vengono costantemente indicati e disposti da altri. Nell'ambiente cittadino siamo costretti giornalmente a frammentare la nostra personalità in una serie di ruoli massificati, inerti ed anonimi. Questo tipo di massificazione crea un rapporto anonimo con l'altro. Chi vive in un ambiente paesano o in un ambiente rustico nel quale tutti si conoscono, sa che anche la semplice richiesta di un oggetto utile, di un caffè al bar, per esempio, è una domanda conosciuta. Il fruitore e colui che distribuisce il servizio si conoscono. E quindi la domanda non è anonima. Mentre invece la massificazione enorme, che in genere è rappresentata dalla densità della popolazione, rende il rapporto anodino ed inerte. Il numero degli abitanti a questo punto assume un'importanza per il modo del vivere urbano quando raggiunge determinate dimensioni. Già nella Politica di Aristotele, vedasi particolarmente il capitolo VII, 4,4,14, è stato riconosciuto che l'aumento del numero degli abitanti, oltre un certo limite, avrebbe avuto ripercussioni sulle relazioni tra essi e in definitiva sulle caratteristiche della vita. Un gran numero di persone, di abitanti, comporta una maggiore specializzazione del lavoro sociale e viene a svilupparsi spontaneamente un processo che tende a far aumentare le differenze potenziali fra i cittadini. Si accentuano le tendenze verso la segregazione, nello spazio e nel tempo, verso le piccole comunità, le comunità che si riuniscono in relazione alle loro origini etniche, allo stato economico e sociale, ai gusti e alle preferenze. I legami di parentela tendono a ridursi al minimo indispensabile ed è probabile quindi che la sostituzione di tali legami di solidarietà avvenga con altri meccanismi, quali appunto la competizione e l'interesse economico. Si dice anche volgarmente che in città non si ha più nemmeno la possibilità di poter incontrare i genitori perché abitano al capo opposto e non si ha tempo per poterlo fare. L'insediamento urbano svilisce certi affetti, toglie determinate possibilità di interazione affettiva. Il moltiplicarsi delle persone rende impossibile il contatto con personalità complete. Noi ci incontriamo in aree segmentate e la nostra partecipazione è schizoide. Louis Wirth dice che tutti i cittadini sono schizoidi perché hanno bisogno costantemente di un'altra maschera, quella cittadina. La loro maschera è quella che di volta in volta la città richiede. Questo vuoi dire che gli abitanti della città hanno meno conoscenze personali di quelli della campagna. Non conoscono gli altri e non si conoscono. Sembrerebbe il contrario. Essi vedono e sono in contatto di gomito nel corso della vita quotidiana con una miriade di persone, ma ne conoscono soltanto una percentuale minima e di questi hanno una conoscenza del tutto incompleta. Si può quindi affermare che gli abitanti delle città si incontrano in ruoli molto frazionati: l'operaio, l'impiegato, lo studente, l'utente di pubblici servizi. I cittadini dipendono costantemente da altri per poter vivere. Si è ipotizzata una città sottacqua (c'è stata qualche esperienza in alcuni paesi come il Giappone); una città sottacqua dipenderebbe integralmente da coloro che forniscono l'ossigeno, perché se questi improvvisamente scioperassero diventerebbero i veri padroni, avrebbero le chiavi della città. Quindi da una parte si realizza una paura costante: quella della dipendenza e questo equilibrio è sempre instabile; il cittadino non è mai completo. L'aspetto schizoide da luogo alla frammentazione e per converso alla maniacalità dovuta alla identificazione autoplastica del ruolo cittadino, specialmente nei piccoli gruppi. Al riguardo, bisogna fare una distinzione tra l'associazionismo cosiddetto sano della città e 1' associazionismo cittadino di tipo reattivo, che definiremmo patologico, dovuto al fatto che l'individuo è costantemente frustrato e deluso; quindi si formano i gruppi dei punk, dei dark, quelli di teppisti negli stadi, ecc.. La capacità di aggregarsi intorno alla bandiera dei club calcistici non rappresenta sempre e in tutti i casi una aggregazione sana perché realizza un mezzo per poter superare frustrazioni e quindi realizza identificazioni plastiche nei gruppi aggressivi.

Il Prof. Salvini ha fatto una inchiesta sui teppisti degli stadi e mi piace parlarne perché lo stadio plastifica un fenomeno tipicamente cittadino. Intervistando i teppisti degli stadi Salvini si è sentito rispondere: "se non fossi un teppista non sarei nessuno". La partita di calcio rappresenta un' ideologia, un’ideologia della città. Infatti Vinnai ha scritto un libro intitolato "II calcio come ideologia", nel quale appunto sottolinea l'importanza particolare di questa aggressività plastificata, il divo calcistico è chiamato cannoniere, ariete, stroncatore, colui che viola la porta; la violenza sulla porta, dal punto di vista psicoanalitico, è una violenza tipicamente sessuale perché l'eroe degli stadi è un superpadre, virile, aggressivo che possiede la madre. I tifosi sono molto delusi quando la partita finisce a reti inviolate, perché non si è potuta esprimere 1' aggressività particolare di cui ci si sente portatori. Quindi queste aggregazioni sono aggregazioni profondamente surrettizie di una impossibilità di esprimere se stessi; l'urlo della folla di fronte al goal che fa il capocannoniere è una liberazione da una serie di frustrazioni, di costrizioni, alle quali il cittadino è costantemente sottoposto. Pensate ai bus affollati, ai ritardi per trovare parcheggio alle auto, pensate a tutte queste limitazioni che si traducono in manifestazioni di violenza emblematica e surrettizia. Parallelamente si sviluppa in città, solo apparentemente, un maggiore grado di libertà e di emancipazione. Al proposito, qui ci soccorre il pensiero di Erich Fromm con i concetti di "libertà da" e di "libertà di". È vero che se un cittadino di Roma, di Milano o anche di Firenze, se si reca al capo opposto di dove egli abita, diventa un'altra persona, e lì crede di poter fare quello che vuole (comprese le forme di aggressività violenta), perché il controllo sociale, rappresentato dal perbenismo di quartiere, a quel punto si annulla, ma questa non è una libertà di, è una libertà da. È il bisogno di sottrarsi ad un controllo e ad un condizionamento. Perché la libertà non rappresenta il poter fare o l'essere autorizzati a fare, rappresenta la capacità di gestire se stessi e quindi di essere sempre se stessi sia nel proprio quartiere che in un'altra parte della città stessa. Quindi, 1' apparente maggiore condizione di libertà e di emancipazione dai controlli personali da parte del gruppo fa sì che si perda l'espressione spontanea del sé, la morale e il senso di partecipazione che deriva dal vivere in una comunità integrata. È questa la caratteristica essenziale dello stato di anomia o vuoto sociale cui allude il Durkheim cercando di dare ragione delle varie forme di disorganizzazione sociale nella civiltà tecnologica (Vedasi "La divisione del lavoro sociale", Durkheim, Comunità, Milano, p. 426 e sgg). E pensare che Durkheim non aveva visto ancora il degrado delle città veramente notevole dovuto all'incremento delle automobili. E allora cosa vuoi dire condizionamento cittadino? Vuoi dire che noi non siamo liberi di poter svolgere una nostra funzione perché siamo intrappolati, rinchiusi, limitati. Noi sentiamo questo bisogno di uscire ma non sappiamo come. Ecco un altro aspetto che è molto interessante dal punto di vista psicodinamico, rispetto alle dimensioni dell'aggregazione della popolazione, un altro aspetto dell' alienazione, quello conseguente allo sfruttamento massimo dell'attività economica e delle professioni. Wirth parla addirittura di operazioni pecuniarie che portano a rapporti predatori. Fromm ci fornisce un esempio quando parla del tipo mercantile. L'uomo mercantile non riesce a staccarsi dalla sua agenda, la tirannia dell'agenda, degli appuntamenti. Allora all'individuo vengono imposte regole di guadagno o di prestigio o peggio ancora delle necessità obiettive del contesto urbano organizzato che non soddisfano psicologicamente il cittadino, ma gli impongono una serie di ritmi a lui stesso estranei.

Però noi cittadini rischiamo a poco a poco di avvelenarci la vita. La città ci propina costantemente veleni che non sono solamente gli scappamenti delle auto. Se vogliamo eliminare questi veleni dobbiamo riconsiderare ampiamente il nostro meccanismo di sviluppo. Cominciamo a guardare dentro di noi. L' uomo moderno conosce il mondo esterno in grandissima parte e non conosce il suo mondo interno. L'uomo non sa. È come Edipo. Edipo viveva a Corinto dove era accolto come un figlio e dove i genitori non erano genitori perché lo avevano adottato, Corinto non è la sua patria e lì potrebbe essere un Re, va a Tebe dove segue pedissequamente il destino che lo porterà a uccidere il padre e a possedere la madre. Ecco, l'uomo moderno viaggia con questi paraocchi. Viaggia senza sapere costantemente da chi si fa condurre. Quindi, ci dice Wirth, il gran numero di individui, l'abitato congestionato causano frizioni, irritazioni, litigi. Litigi sulle parti comuni, che sono dei meccanismi reattivi e significativi di disagi. La psicologia relazionale ha dimostrato che c'è una differenza tra la cosiddetta aggressività di competenza rispetto all'aggressività di relazione. Così la moglie che si arrabbia perché il marito è arrivato a casa mezz'ora più tardi, nasconde conflitti di competenza sull'orario, mentre nella realtà sottende un conflitto di relazione: non ha un rapporto buono col marito e quindi l'orano diventa una scusa come diventano buone altre scuse. Quindi, i partiti politici, i consigli di quartiere, i condomini sviluppano e fanno uscire più aggressività, in persone apparentemente del tutto normali. Dice Fromm che un ottimo impiegato delle poste se gli mettete una divisa può diventare un efferato nazista. Perché esistono una serie di meccanismi reattivi di cui noi siamo inconsapevoli. Le tensioni, dicevo, sono accentuate anche dal ritmo rapido della complicata tecnologia cittadina. Ad esempio, l'orologio sta diventando tiranno e viene spesso eluso perché è difficile mantenere gli appuntamenti. Questa è la dimostrazione che la vita cittadina diventa sempre più ardua per l’acuirsi del sistema di controllo: il semaforo, 1' orologio, la segnaletica, il parcheggio, il traffico, il taxi.

Esiste la possibilità che la città, come si è ammalata, possa guarire? Noi tutti potremmo diventare terapeuti ufficiali della città. Qui occorre un grosso processo di medicina integrata. Qui occorre che il cittadino da se stesso intanto cominci, come ha detto il Dott. Munafò, a farsi carico di questi problemi. E occorre che si formino anche dei centri per la prevenzione sociale, dove l'individuo possa rendersi conto della sua aggressività e della sua alienazione. Mi convinsi a prendere coscienza della nostra aggressività prima di cercare di capire l'aggressività degli altri. Se tutti prendessimo coscienza, attraverso mezzi di strutturazione sociale, della nostra aggressività, della nostra antiecologia della mente, del nostro delirio di follia o della nostra megalomania, se noi prendessimo coscienza di queste forme di alienazione, forse già cominceremmo a risolvere gran parte dei problemi cittadini. E poi penso che dobbiamo dar vita a delle forme particolari di sensibilizzazione popolare. Quella che si fa in molte comunità, Stati Uniti e Inghilterra in testa. Le tecniche sono quelle che ci ha indicato magistralmente la scuola di Palo Alto. Quando ci incontriamo in un club, quando ci incontriamo in un'associazione, quando ci incontriamo in un' istituzione ognuno sia capace di capire le ragioni dell'altro fin quando l'altro sia consapevole che le sue ragioni sono state ben bene descritte dall'altro. Ci trinceriamo dietro una cefalea per negare la nostra aggressività. Cerchiamo di capire quante cefalee, quanti disturbi psicosomatici rappresentano un bisogno di aggredire l'altro, un bisogno di porsi poi in conflitto. Noi dovremmo arrivare a capire noi stessi. Occorre una grossa dose di umiltà e di autocoscienza. Non ci sono ricette. Non possiamo pensare da oggi al domani di modificare il nostro modo di vivere cittadino. Esiste un punto fondamentale: questo tipo di sviluppo deve essere rivolto a trasformare la città densa di veleni e malefica in una città a misura dell'uomo. Come dice Fromm: tutto deve essere dalla parte dell'uomo. Se anche questo costerà dei sacrifìci sul piano economico essi saranno sacrifìci positivi e ci daranno la possibilità di poter capire meglio. Alla fine di questo Convegno cercheremo di fare un centro internazionale per i problemi dell'ecologia urbana, fisica e mentale. Perché penso che Firenze che è stata la culla dell’Umanesimo e che ha rappresentato qualcosa nel mondo, in questo comparto possa ancora dire qualcosa di grande e di importante. Grazie!

*Università di Messina - Centro Universitario Ticinese - Direttore Scientifico International Foundation Erich Fromm.

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