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PSICOANALISI NEOFREUDIANA

A cura dell' International Foundation Erich Fromm
Periodico quadrimestrale
anno XX numero 3 speciale
Registrato al Tribunale di Prato il 01/06/1988 al n. 133
Comitato Scientifico - Coordinatore: Irene Battaglini

Stampato in proprio - diffusione via Web
Direttore Responsabile: Ezio Benelli
Editing: Irene Battaglini
Polimnia - Musa della narrazione

UOMO-NATURA UN'ARMONIA CHE VA RECUPERATA

Andrea Vellutini *

Circa un milione di anni addietro, quando in alcune zone della Terra fece la sua comparsa l'homo sapiens, ultima significativa realizzazione della Natura, per questa si apriva una fase nuova che le avrebbe portato radicale mutamento, soprat¬tutto se rapportata alla sua storia precedente: ancora non è chiaro, lo sarà nel futuro, se, nel corso della storia dell'evoluzione, questa comparsa sia un momento di gloria o di follia; se, cioè, nell'uomo la Natura abbia prodotto un capolavoro imperituro o una creatura stravagante destinata, un giorno, ad essere eliminata da altre forze vitali. La storia dell'uomo, in questi diecimila secoli, è strana dal momento che, per la quasi totalità dì questo periodo, questi è rimasto un "primitivo" e la realtà intorno a lui si evolveva a ritmi lentissimi; all'improvviso, invece, agli albori del nostro millennio, l'uomo ha accelerato tumultuosamente il ritmo degli avvenimenti al punto che, questo periodo, breve se lo ragguagliamo alla storia dell'umanità, si è caratterizzato per esiti incredibilmente superiori e profondamente disformi a quelli precedenti.

Tutto è iniziato quando l'uomo, dopo aver appreso la coltivazione di qualche appezzamento di terreno e, successivamente, esplorato e popolato il pianeta nel quale viveva, ha cominciato ad affermare questo suo dominio che sì è consolidato e sviluppato di pari passo al suo desiderio di conoscere ed indagare.

Il succedersi delle scoperte ha visto, però, i nostri lontani progenitori permeati da un timore reverenziale nei confronti della Natura alla quale rendevano omaggio, proprio perché permetteva loro di vivere, provando per essa un sentimento di gratitudine e profondo rispetto.

Due secoli fa, un tempo irrisorio, quasi un istante, se misurato nell'orologio del tempo, tutto è mutato: gli eventi umani richiedevano profonde accelerazioni sulle ali delle rivoluzioni scientifiche, industriali, tecnologiche, e l'uomo, acquisendo poteri e conoscenze sempre più sorprendenti, si è sentito più forte e sempre meno subordinato alle costrizioni ed alle leggi naturali.

Da quella radicale inversione di tendenza ora lottiamo per trarre ulteriori vantaggi dalla posizione dominante che abbiamo acquisito e, nonostante che abbiamo ottenuto benefici inimmaginabili ai nostri antenati, continuiamo ad essere insoddisfatti.

Qualunque cosa lo solleciti, il nostro "io", ci conduce, escludendo ogni altra considerazione, a realizzarla, rendendoci insensibili alle conseguenze delle azioni commesse, pur di ottenere il risultato prefisso.

Nel corso di questa corsa, forsennata e caotica, non esitiamo a devastare il nostro ambiente e a tradire l'intima connessione con la Natura.

In tempi assai rapidi abbiamo posto fine ad innumerevoli specie animali e vegetali, abbiamo degradato l'ambiente che ci circonda, avvelenando il suolo, l'aria. l'acqua, dai quali noi ed ogni altro essere vivente dipendiamo; abbiamo creato macrocosmi urbani e strutture fittizie, incuranti del fatto che il loro proliferare ci sottopone allo stress e a moduli di vita meccanicistici, congestionati ed artificiosi.

Solo da poco cominciamo a renderci conto che stiamo pagando un prezzo assai salato, proprio per aver ceduto alla tentazione di rimodellare la Terra come se fossimo i soli ad abitarla e non, invece, a mantenere quel convincimento della nostra appartenenza ad un tutto dinamico molto più ampio e a rammentare che l'intrinseca unità con la Natura rappresenta l'elemento primario del nostro essere, ricordandoci che tutto ciò che noi facciamo, indebolendo la Natura e i nostri legami con essa, finisce, in ultima analisi, con l'indebolire noi medesimi, anche se, al suo interno, ci siamo scavati una nicchia privilegiata.

Solo riconsiderando l'avventura dell'uomo all'interno di questo più ampio contesto, è possibile comprendere come, in questi ultimi duecento anni, il nostro status è radicalmente mutato e come sia necessario dover divenire protagonisti assoluti della nostra vicenda esistenziale.

La consapevolezza che siamo divenuti l'agente primario dei mutamenti che avvengono sul pianeta e che ciò che facciamo si ripercuote sulle future generazioni, riveste notevole importanza dal momento che l'avvenire dell'uomo sarà lungo o breve, soddisfacente o miserevole, a seconda di come noi sapremo disporre del potenziale conoscitivo ed operativo in nostro possesso,

La riflessione sul dimenticato ma fondamentale primato della Natura sulla nostra esistenza, come quella della capacità acquisita di forzare, alternandoli, i rapporti con la Natura, divengono la A e la Z del nostro operare e le coordinate entro le quali proiettarci in una dimensione planetaria.

La situazione esistente nella biosfera, il sistema vitale fittamente commisto e intrecciato che si trova riunito nella sottile pellicola di terra, aria, acqua della quale il globo è circondato, è estremamente delicato e precario.

La logica e l'esperienza ci insegnano che quando in un sistema un fattore cresce e si moltiplica esponenzialmente, ed è il caso appunto della pressione umana esercitata sulla biosfera, possono prodursi due diverse situazioni: o il sistema è abbastanza solido per prevalere sul fattore anomalo oppure ne viene sopraffatto ed alterato, se non addirittura distrutto.

Solo in epoca assai recente ci siamo domandati, non senza riluttanza, se per caso l'umanità, con il suo incessante incremento economico e demografico, non stia diventando quel fattore critico ed intollerabile, passibile di portare il sistema al limite di rottura.

Se questa è la constatazione, occorre deliberatamente modificare la nostra condotta, finché siamo in tempo utile per farlo, o patire le conseguenze negative, che per nostra colpa, si abbatteranno sul pianeta.

La civiltà della quale siamo orgogliosi, si fonda su un presupposto culturale che esalta l'uomo e la sua supremazia sul mondo e nel mondo e giustifica i mezzi ai quali questi ricorre per conseguire i suoi obiettivi, lasciando all'uomo la libertà di calpestare tutto ciò che interferisce nel proseguimento dei suoi interessi.

Tale civiltà sta portando l'uomo ad una sorta di isolamento orgoglioso, auto¬imposto, semiartificiale che alla lunga potrebbe rilevarsi ingannevole e risolversi in un totale fallimento.

"La Terra è una sola, ma il mondo non lo è. Tutti noi dipendiamo da una unica biosfera, per la nostra esistenza, eppure ciascuna comunità, ciascun paese, lotta per la propria sopravvivenza e prosperità con scarsa attenzione verso gli altri". Con queste parole inizia il rapporto dal significativo titolo Our common future, elaborato nel 1987 dal World Commission on Environment and Development, significando che le crescenti minacce che oggi incombono sul mondo e che rendono nebulosa la futura sorte dell'umanità si possono superare solo grazie ad un reale impegno di cooperazione internazionale: dobbiamo, cioè, passare dal concetto di una sola Terra a quello di un solo ed unico mondo.

Questa affermazione non ha nulla di gratuito qualora si prenda atto che le risorse necessario all'esistenza dell'uomo, nei loro aspetti quali-quantitativi, stanno progressivamente esaurendosi dal momento in cui, soprattutto in questo ultimo secolo, tutta una serie di fattori ha divaricato il rapporto fra i tempi storici dell'uomo e i tempi biologici dell' ambiente naturale del quale l'uomo stesso è parte e lo è come entità modificata-modificatrice.

L'umanità è divenuta una specie di super-tumore maligno sulla faccia del pianeta che si diffonde con effetti insidiosi e, subdolamente, preparala strada ad una crisi assoluta e definitiva.

Una cellula cancerosa, infatti, si dimostra insolitamente vitale in quanto è in grado di moltiplicarsi con straordinario vigore, ma è anche eccezionalmente stupida perché finisce con l'uccidere l'ospite da cui dipende la sua sopravvivenza.

Pertanto solo una politica conservatrice internazionale a lungo termine, che dovrebbe già dare vita ad una moratoria delle attività umane palesemente più nocive e che abbia come propria filosofia una nuova etica della vita, il cui prerequisito si basa sulla consapevolezza che qualunque danno causato dall'uomo alle forze vitali del globo, si rivela, prima o poi, un boomerang scagliato su dì sé, può significare la reale inversione di tendenza al nostro agire ed operare.

Una nuova etica che si fonda sull'accrescere e perfezionare la conoscenza di alcune verità attinenti al nostro rapporto con la Natura, verità che non possono che determinare, se giuridicamente legittimate sul piano internazionale, una reazione a catena che favorirà l'evoluzione di atteggiamenti più maturi e consapevoli e la formazione di una società internazionale più responsabile a dimensione umana.

Se è vero che non è semplice agire in questa direzione perché i sistemi umani, creati da nazioni e popoli diversi in epoche diverse, volti a fini disomogenei se non divergenti, sono portati a sovrapporsi e ad elidersi reciprocamente, è altrettanto vero che se non superiamo tale logica, il futuro dell'umanità non solo è nebuloso, ma precario.

Conseguentemente, se è vero che un compito di tale portata non può essere affidato a singole nazioni, ma deve essere responsabilità della società internazionale in tutte le sue componenti e strutture istituzionali, è altrettanto vero che lo stesso deve muoversi su una radicale revisione dell'atteggiamento esistenziale dell'uomo, che deve ripristinare la pace e l'armonia con la Natura, anche se ciò vuoi dire scuotere le basi della nostra cultura che, o di impostazione materialistica o fideistica, si fonda su una visione miglioristica, progressiva e progressista, della nostra vita e della nostra storia.
Ogni altra riflessione non può non essere subordinata e sussidiaria.

*Presidente del Parco Naturale della Maremma.

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