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GLI IRRAGGIUNTI

UN RITRATTO DI GUNTER AMMON

Quadrato nero di Kazimir Malevič
Quadrato nero
Kazimir Malevič, 1914-1915
Olio su tela, 79,5 x 79,5
Mosca, Galleria Tret'jakov
di Ezio Benelli





... nessuna cosa si può amare né odiare, se prima non si ha cognition di quella.1
LEONARDO DA VINCI


Conosciamo dunque la profondità, non come oggetto della vista, per sé et assolutamente, ma per accidente rispetto al chiaro et allo scuro.2
GALILEO GALILEI


Anche se la psicoanalisi non chiarisce il dato dell'artisticità di Leonardo, ce ne rende però comprensibili le manifestazioni e i limiti.
SIGMUND FREUD


Nelle analisi dei bambini rileviamo sempre, quando all'espressione di desideri distruttivi fanno seguito tendenze reattive, il ricorso al disegno ed alla pittura con l'intento di restaurare ciò che prima si è danneggiato.
MELANIE KLEIN

Se raggiungere è conseguire un risultato o pervenire ad un determinato luogo, essere raggiungibili, in un contesto di relazioni, implica essere disponibili ad un contatto, ad una conoscenza da parte dell'Altro, implica un certo grado di apertura e di capacità di dare informazioni su se stessi attraverso un insieme di elementi comunicativi, di messaggi specifici, correlati ad una circostanza. Essere non raggiungibili, da un punto di vista psicologico, può voler dire non mettere a disposizione dell'Altro, in un contesto sociale o con un partner in una diade o in una coppia adulta, quelle informazioni strategiche e funzionali alla conoscenza, avere uno stile difensivo estremo, essere così straordinariamente lontani al punto di impedire qualsiasi forma di contatto. Quando la condizione di irraggiungibilità si fa costante dello stile relazionale di un uomo o di una donna, o di un bambino, può essere indicativa di una serie di elementi di rilevanza psicopatologica, andando a definire un insieme complesso di tratti che tendono a stigmatizzarsi come di "malattia" , sottoforma di nevrosi, psicosi o di disturbo della personalità. Questo forse perché nell'essere umano, la capacità di entrare in relazione costituisce una condizione essenziale allo sviluppo della personalità. Günter Ammon3, in uno scritto del 1983 dal titolo Gli irraggiunti - Sul problema del narcisismo arcaico4, sostiene che "Gli irraggiunti rappresentano quel gruppo di malati, ai quali Freud ha applicato il suo concetto della cosiddetta nevrosi narcisistica, e che egli - a causa della loro incapacità di sviluppare un transfert terapeutico - riteneva intrattabili con il metodo standard della psicoanalisi, esprimendo comunque la sua speranza in nuovi metodi terapeutici, nonché in una sintesi di metodi psicoanalitici e psichiatrici".

Se Ammon sostiene che già Freud ravvisasse la necessità di ricorrere a "nuovi metodi terapeutici, nonché in una sintesi di metodi psicoanalitici e psichiatrici", per i pazienti non capaci di sviluppare il transfert con le tecniche "classiche", si può ipotizzare che non sia il paziente ad essere sostanzialmente irraggiungibile, ma che sia la tecnica non adeguatamente sviluppata a raggiungere ogni tipo di paziente.

Dai resoconti di Ammon, sembra trattarsi di pazienti in massima parte portatori di un disturbo borderline della personalità o di un disturbo narcisistico. Egli si pone in un percorso di continuità con Freud5, valutando attraverso la propria esperienza clinica la bontà delle sue affermazioni. Presso la sua clinica di Monaco, Ammon sviluppò insieme al suo gruppo di collaboratori e colleghi (citiamo Ilse Burbiel e Rolf Schmidts), molteplici strategie terapeutiche, sia a livello di tecniche di gruppo che nella prassi clinica individuale, includendo anche la famiglia nel processo terapeutico e utilizzando anche l'équipe terapeutica quale strumento di confronto diretto con il paziente.

Nonostante i tentativi e le innovazioni nella prassi, dallo scritto di Ammon si evince che con alcuni pazienti non è mai "possibile né un contatto profondo ed una comprensione sufficiente, né un cambiamento della personalità. Invece è stato relativamente facile far sparire i sintomi superficiali, sia psichici che psicosomatici". Egli cita l'amico Bela Buda6, quando definisce i pazienti psicotici quali "offesi" nella situazione patologica conclamata, e "offendibili" nella situazione patologica latente. Il paziente oscilla tra offendibilità e offesa: l'offendibilità è data dalla costante paura (desiderio) della ferita narcisistica e l'offesa è rappresentata dall'aggressività (odio) che il paziente tende a riversare sulla persona o sull'oggetto responsabile della ferita. E ancora Ammon: "Qualche volta la terapia portava addirittura a tali risultati che a un osservatore neutrale la terapia poteva sembrare coronata di successo. I terapeuti, però, avevano l'impressione che questi pazienti non erano raggiunti in profondo, e che essi non avevano concesso una vera comprensione delle loro angosce". "Spesso la sofferenza di questi pazienti si esprime da un lato in sentimenti di un vuoto insopportabile e nella paura di essere abbandonati, dall'altro in una ricerca di identità e di persone fidate, dalle quali però si sentono continuamente offesi ed incompresi. Il quadro clinico è caratterizzato da aggressività distruttiva oppure ritiro, disperazione suicidale e inconsci tentativi di integrazione mediante la psicosomatica, spesso in connessione con grande intelligenza e bellezza fisica".

Se Ammon nel suo scritto espone un ricco excursus teorico a supporto del concetto di narcisismo in psicologia e psichiatria, ciò che in questa sede rende particolarmente interessante oggi ai nostri occhi il suo lavoro, è la qualità di precursore di una serie di considerazioni tecniche e metodologiche che partono dall'assunto che al problema energetico posto da Freud, viene data una risposta psicodinamica, corredata da un vasto repertorio di applicazioni. "Sostituendo il modello topico di Freud con il modello Io-strutturale basato sul concetto del gruppo, al problema energetico non viene più data una risposta biologica, bensì una risposta gruppodinamica e psicodinamica. Ciò comporta il vantaggio che gli insolubili problemi economici che necessariamente sorgono nel contesto teorico del modello topico, nel modello Io-strutturale non si pongono neanche. A differenza delle concezioni di Freud, Hartmann, Rapaport e altri, che vedono nelle pulsioni la forza motrice dell'esistenza umana, nel mio modello Io-strutturale le funzioni dell'Io vengono alimentate dall'energia sociale".

A metà degli anni '80, conobbi a Firenze Günter Ammon. Imponente, carismatico, accompagnato dalla giovane moglie Maria, indossava un cappotto lungo fino ai piedi, di quelli che andavano di moda allora, con dentro la pelliccia e fuori la pelle di montone. Ci incontrammo all'Istituto di Psicoterapia Analitica di Firenze: Ammon era stato invitato a tenere un seminario, in cui potesse esporre il suo approccio alla psichiatria, che era di tipo dinamico. L'approccio di Ammon alla malattia mentale, - così come era definita dalla Psichiatria Dinamica - veniva integrato da interventi di danza, recitazione, di pittura e modellato.

Il seminario fiorentino fu determinante per i contenuti, innovativi per l'epoca, e segnò l'inizio di una collaborazione con lo studioso tedesco che portò a numerose e successive iniziative sia in Germania che in Italia. Infatti nel 1987, durante la visita alla clinica Menterschwaige di Monaco, Ammon ci condusse in uno dei campi applicativi del suo approccio, iniziandoci alla danza "umano-strutturale". La danza umano-strutturale, intesa come terapia e come tecnica, si applicava ai pazienti con gravi disturbi del contatto o difficoltà della comunicazione verbale. Essa si ricollega alla danza salutare-pitagorica, alla tradizione della danza espressiva e infine al lavoro della tecnica adottata dalle nuove ricerche delle terapeute americane della danza.

Nella danza umano-strutturale, come nella recitazione e nella pittura, il punto centrale non è la performance, ma la capacità di esprimere in modo immediato ed autentico la corporeità, la plasticità e i sentimenti ivi compresi: la sofferenza, l'aggressività, in seguito anche la felicità. Per Ammon "danzare, recitare, pitturare e modellare rappresentano fin dall'età della pietra forme arcaiche di culto, religiosità, esperienza di sé e dinamica di gruppo":7 certamente utilizzando questo tipo di esperienze è possibile tangenzialmente o più profondamente accedere ad un livello psichico sorretto da strutture arcaiche anche archetipiche. Individuare l'archetipo personale o collettivo che anima un gruppo può essere determinante e funzionale al recupero e alla riparazione di strutture danneggiate.

Nel contesto di diagnosi e terapia, a contatto con la musica, la tela e i colori, il materiale da modellare, la danza, il gruppo e se stessi, l'esperienza offre la possibilità di attingere "socioenergia" dal gruppo da un lato e, dall'altro, di comunicare sia col movimento sia con il lavoro figurativo di pittura, disegno. E' in gioco un accadere pluridimensionale in cui sono coinvolti corporeità, spiritualità, movimento, musica, mediazione figurativa, psicoterapia, creatività e dinamica di gruppo.

L'integrazione dell'approccio psichiatrico di Ammon con le arti della danza, della pittura e modellato in gruppo di lavoro ben strutturato, permette ai pazienti di mostrare le loro parti commoventi e amabili, ferite dolorose e ricordi rimossi, non con un linguaggio verbale che appare come in qualche modo un linguaggio dell'incomunicabilità, ma con un insieme di linguaggi compositi di movimento e di immagini impressionate su tela: in tal modo i pazienti riescono ad entrare in contatto con il gruppo che empaticamente comprende la drammaticità della comunicazione.

Il compito che ci siamo posti, nel nostro lavoro di équipe8, è di raggiungere attraverso tecniche specifiche, non necessariamente collocabili nel novero dell'arteterapia, un certo numero di pazienti che non affrontano con apertura, forse perché in qualche modo "irraggiungibi", la psicoterapia condotta con il solo mezzo verbale. Nel nostro approccio, la tecnica dell'interpretazione del transfert viene allargata utilizzando materiale nuovo, prodotto attraverso le tecniche di atelier, e per tanto tangibile, collocabile nello spazio e nel tempo, e visibile al paziente.

Il materiale prodotto, di tipo "artistico", non può e non deve essere considerato lontano per definizione dall'opera d'arte. Detto materiale è assimilabile al sogno, all'immagine, al vissuto. E' un prodotto della psiche che si è espressa attraverso un linguaggio specifico, e pertanto non può prescindere dalle elaborazioni e dalle emozioni che sono solitamente correlate al sogno o al vissuto o all'esperienza di relazione. Il "manufatto", il prodotto tangibile, fatto di colore, tela, creta o quant'altro, possiede una "texture" ed una sua propria bellezza o bruttezza o stranezza o banalità. Ovverosia, appartiene alle cose che la psiche esprime, e la valorizzazione operata dal paziente, o la sua richiesta di valorizzazione, non può essere "repressa" o "negata", emarginata dal contesto e dalla relazione per il timore che l'opera non possa essere considerata abbastanza buona o per la paura di definirsi "artisti". Il "prodotto" di un lavoro in atelier, che sia un quadro, una installazione, un lavoro di arte informatica, è un'opera d'arte, nel senso che è un'opera frutto di un processo creativo. Il paziente porta un sogno, e solitamente si esprime dicendo: Ho fatto un sogno strano. Ho fatto un sogno brutto. Ho un sogno nuovo. Il paziente si esprime in modo analogo riferendosi alle sue produzioni in atelier.

Questo spettro di giudizi appartiene al mondo semantico del paziente e a parer mio al campo delle sue relazioni oggettuali. Al suo labelling emotivo, al sistema di valutazione e percezione del mondo. L'opera prodotta origina dalla percezione di questo mondo e a questo appartiene. In questo senso ci distanziamo dall'applicazione tecnica dell'arteterapeuta, che tende a disinvestire l'opera del paziente da valutazioni quali bello, brutto, buono, cattivo. Un disegno portato come brutto, o che elicita sensazioni disarmoniche, francamente ricco di "tremendum" dal punto di vista iconografico, non può essere valorizzato come bello o al massimo come "indifferente sul piano estetico". Non esiste una indifferenza estetica, se vi fosse getterebbe il paziente in un angoscia estraniante. Egli ha diritto a crearsi un sistema di giudizi e di credenze, di formarsi opinioni e di sviluppare un pensiero critico. Compito del terapeuta che accoglie i lavori artistici di un paziente, non è di fargli da critico d'arte, ma di perseguire il proprio lavoro di crescita e comprensione, utilizzando questi elementi come nuove icone del suo mondo immaginale. Ad una ipotesi di brutto, si può rispondere con una rielaborazione del "brutto", quale fatto reale dell'esistenza, quale modus operandi nella funzione sociale del discernimento. Noi tutti abbiamo bisogno di acquisire una differenza cognitiva e culturale tra bello e brutto, e di poterne fare esperienza emotiva.

Scrive Umberto Eco9: "Secondo alcuni nel mondo post-moderno si è dissolta qualsiasi opposizione tra bello e brutto. due valori si sarebbero semplicemente amalgamati perdendo i loro caratteri distintivi. Ma è vero? E se certi comportamenti dei giovani o degli artisti fossero solo fenomeni marginali, celebrati da quelle che sono minoranze rispetto alla popolazione del pianeta? In televisione vediamo bambini che muoiono di fame ridotti a scheletri dalla pancia gonfia, apprendiamo di donne stuprate dagli invasori, sappiamo di corpi umani torturati, e d'altra parte ci tornano continuamente davanti agli occhi le immagini non molto remote di altri scheletri viventi destinati a una camera a gas. Vediamo membra dilaniate appena ieri dall'esplosione di un grattacielo o di un aereo in volo, e viviamo nel terrore che ciò possa accadere domani anche a noi. Ciascuno sente benissimo che queste cose sono brutte, e nessuna coscienza della relatività dei valori estetici ci può convincere a viverle come oggetto di piacere".

Il tema del brutto in psicoanalisi, al pari del cattivo, è più che altro da collocarsi nella questione più ampia dell'affettività e dell'accoglienza in modo particolare.

Quando una donna diventa madre, una è la domanda che si pone subito dopo il parto: è sano? E in caso naturalmente affermativo, solitamente esclama: è bellissimo!, è bellissima!

Il prodotto manifesto dei suoi geni, il pronunciamento somatico del sui investimento biologico, è oggetto di riflessioni ed emozioni che hanno a che fare immediatamente con bello e brutto. Bello e brutto non sono parametri estetici, ma i paramenti delle vestigia di un turgore giovanile e di una florida salute che, in pochi anni, tenderanno a dissolversi nella maturità per sparire nella vecchiaia. Il perpetuarsi della bellezza altro non è che il rinnovarsi di un codice genetico che si assume come buono, come valido, come evolutivamente funzionale. Sostenere che un figlio è bello, equivale spesso a dire che è "buono", che ci rassomiglia, è di padre certo, è di fattura sana, che è in qualche modo un anello stabile della catena evolutiva, ed esprime la buona riuscita del compito riproduttivo. E ancora che è prediletto, primogenito, eroicamente portatore dei tratti di una discendenza unica. Anche se non unigenito, il figlio che ha la grande occasione di sperimentare questa condizione di unicità nel cuore della madre e poi del padre (del gruppo parentale, direbbe Ammon), sembra avere maggiore accesso alla possibilità di espressione armonica del suo mondo interno. Com'è ovvio, se queste condizioni idilliache non attraversano fasi di riorganizzazione, si potrà anche verificare la condizione opposta, cioè di non essere in grado di esprimere il mondo interno, in quanto portatore di una condizione idealizzata e di conseguenza altresì incomunicabile, inaccessibile in quanto perfetta, e per questo non contemplata dalle leggi mondane10. L'uomo, il genitore, che osserva i tratti del figlio, molto spesso trova elementi di se stesso, rassicuranti, e il figlio in questo rimando di "bellezza", si appropria di coordinate che servono a rassicurarsi, a progettare con speranza e forza il proprio investimento nel mondo e a tracciare con maggiore efficacia la strada del ritorno: si intreccia così un duplice destino di appartenenza, che si esprime anche attraverso codici estetici. Una madre che trovi il proprio figlio "brutto", evidentemente ad un qualche livello non vi si riconosce, o per lo meno ad un certo punto si è verificata una delusione, una ferita, un non-essere-insieme. Ella non lo raggiunge. Un figlio che si sente non amato perché non è piacevole, perché non ha un buon odore, perché non ha occhi e viso tondi, perché non è proporzionato, è molto più difficile da raggiungere. Questo bambino, verosimilmente si vivrà come sgradevole, inconsolabile, ed egli sentirà attriti e forzature nella relazione con il suo corpo, che spesso faticherà ad essere sano, a danzare, ad esprimersi. Nessuno di noi si può ritenere brutto né può ritenere brutto il proprio figlio, senza con questo infrangere un oggetto interno mettendone in pericolo in qualche misura l'identità. Abbracciare e allattare un figlio considerato brutto, può avvelenare quegli elementi di prezioso nutrimento senza che la madre ne sia consapevole. Amare infatti è soprattutto accogliere, e non discriminare. Considerare qualcuno brutto equivale di per sé ad attaccarlo, ad esprimere una aggressività, ad allontanarlo. Nel tempo, è naturale osservarsi con maggiore serenità e con un certo distacco, e saper valutare anche le potenzialità estetiche dei propri simili, ciò non di meno, se nei primi anni di vita lo sguardo della madre rimanda al figlio la sua immagine distorta da un sentimento di repulsione o sdegno o intolleranza, vale a dire non permette al figlio di rispecchiarsi nella bellezza che ella sente nel suo cuore e trasmette con i suoi occhi, ecco che incidentalmente l'immagine si impregna di cattiveria, e la bruttezza diviene epifania di malvagità. E naturalmente, questo può valere anche per il contrario: sapersi cattivi, equivale spesso a òegrave;ezza e la bruttezza, salvo il nostro interno e personale modo di intendere il bello e il brutto. E questo tipo di valutazione non può prescindere dalle relazioni oggettuali correlate. Non mi voglio riferire all'ideale della bellezza in senso culturale. Mi vorrei riferire a quanto è importante sentirsi belli e quindi amati, nei primi anni di vita, quale condizione necessaria per uno sviluppo sano del sistema di relazioni e per la costruzione della base sicura.

L'esperienza del brutto è un fatto peculiare nell'arco della vita e anche nelle primissime fasi dell'esistenza, è necessaria al piano di realtà.

L'esperienza precoce del brutto, è esperienza precoce del piano di realtà, perché mette in gioco una consapevolezza nuova che è difficile da collocare ed elaborare. L'esperienza del "seno cattivo", permette al bambino di sviluppare un gioco di proiezioni utili al suo sviluppo, che gli permette di gestire una serie di eventi correlati e addivenire per graduali fasi, alla maturità. L'esperienza del brutto è assimilabile, sul piano estetico, ad una accezione particolare di seno cattivo, che implica sia una elaborazione emotiva sia una elaborazione cognitiva.

"Molto spesso in atelier, si sente l'espressione "L'arte contemporanea è brutta". Per alcuni pazienti è una sorta di allergia, e l'espressione è carica di disgusto. E' segno che l'investimento libidico su un oggetto brutto, è molto grande. Inizialmente si potrà discutere sull'estetica del brutto nel nostro tempo, sui codici culturali. Poi, occorrerà riportare le considerazioni nella narrazione che il paziente dà di se stesso. L'arte contemporanea rappresenta qualche cosa di irraggiungibile, che deve essere scotomizzato. Come dire, "a me non piace usare il computer". Può essere vero, ma dire "io ho una vera avversione per il computer, perché disumanizza", è completamente diverso. Non dico che non possa esserci del vero, ma rifiutare la contemporaneità, con tutto quello che comporta, vantaggi compresi, può essere una scelta tout court che rappresenta una sorta di "rimozione in itinere" e una incapacità ad elaborare aspetti parziali, a sviluppare un pensiero più critico e più ricco di sfumature, a maturare anche i gusti, le predilezioni. Oggi giorno, essere adulti, con le richieste che il mondo ci pone, può voler dire anche possedere riferimenti culturali più ampi e valorizzare risorse utili a farsi strada nel mondo. E aggiungiamo anche un'altra cosa, molto spesso rifiutare in blocco un certo tipo di arte, può essere il segnale di una difficoltà ad accogliere le idee altrui, di una carenza empatica. Questo ha una valenza proiettiva. Questo tipo di rifiuto, è molto frequente quando l'opera è fortemente evocativa, ha un pathos importante. Non comprendere un'opera, è molto diverso dal non tollerarla o dal rifiutarla. Imparare a portarla a dentro di sé, soprattutto se a livello cognitivo non si è ancora arrivati a capire che perché ci emoziona, segna un momento cruciale nell'educazione all'empatia, è una rinuncia alla svalutazione, alla denigrazione e al controllo onnipotente".11

Lo psicoterapeuta, quindi, sulla scorta dei resoconti di laboratorio, potrebbe formulare ipotesi utili a raggiungere più profondamente il paziente. L'esempio sulla difficoltà a vivere una contemporaneità, fa pensare ad una difficoltà del paziente ad evincersi da un genitore potente identificato nell'arte classica, cioè la visione tradizionale delle cose.

Dai resoconti della Dott.ssa Irene Battaglini, responsabile di Atelier presso il nostro centro:12

"Si può ipotizzare che il brutto si definisca come qualche cosa di estraneo al bello, che non appartiene al bello e che è da questo discriminato per una serie di scarti negativi, di sottrazioni per constatata e confrontata assenza di condizioni. A parer mio, per l'essere umano, il bello è sperimentazione a livello emotivo, affettivo e cognitivo di armonia, bilanciamento, equilibrio, forza, in base alla nostra precedente conoscenza di queste macrocategorie, probabilmente sulla scorta di percezioni basilari memorizzate attraverso le prime esperienze corporee. E quindi grazie a metafore fondanti che stanno alla base della nostra conoscenza corporea.13 Quando ci accostiamo al brutto, avvertiamo un moto di repulsione, che viene poi mediato dalle necessità socioculturali. In atelier, esiste un amore per il brutto, una poetica per il brutto, che si trasforma in un bello completamente nuovo. Ma è diverso dal bello a priori. Il bello è a priori, il brutto ne consegue. Il cambiamento dei valori può essere necessario perché l'idea di bellezza può evolversi nel tempo, ma è un cambiamento, quindi significa che prima c'è qualche altra cosa, e quest'altra cosa è l'armonia, una sorta di perfezione intrinseca a livello estetico. Questa forma di bello coincide molto spesso con la grazia della forma.

Elaborare ciò che appartiene al regno del brutto, è però utile perché permette di accedere al cambiamento non solo di tipo culturale, ma al cambiamento di approccio alle cose.

La contemporaneità, anche psicologica, lo stare nel qui ed ora, richiede che si creino nuovi codici comunicativi. Questo è un contesto che offre molte potenzialità ed è un importante scenario di cambiamento. Per l'uomo calato nella contemporaneità, così come per il paziente che non mette in atto un evitamento della contemporaneità (per esempio ancorandosi strenuamente a convinzioni stereotipate, del tipo "Questa cosa moderna la potevo fare anch'io", e magari si sta parlando di Fontana o Giacometti o Cy Twombly), questa forma di bello può essere affiancata dalla sperimentazione di una bellezza senza tempo, che si avvicina alla gioia. Questa gioia assomiglia ad una guarigione ritualizzata e quindi ripetibile, non eterna ma garantita dall'esperienza. La massima espressione di questa armonia si risolve nel gesto, nel movimento estatico di una danza, o nell'ebbrezza che dà la confusione con il colore, o l'espressione di una gestalt impressa su tela, o l'impeto di una forza scultorea passionale e decisa. L'abbiamo osservato molto attentamente al Seminario del Lago di Garda "Il Navigante", a marzo del 2008, condotto con la dott.ssa Lorenza Tosarelli. E anche al Seminario con lo Scultore Butini il 18 ottobre, "Salto Nello Spazio Bianco", quando abbiamo allestito un banchetto di colori cui attingere ad occhi bendati, imprimendo poi un solo gesto su un pannello, accompagnati da una musica di forte impatto emotivo. Questo tipo di bellezza può non essere correlata alla forma, forse perché prescinde dall'osservazione. Ma è molto potente, e scardina le coordinate precedentemente acquisite. Per questo ci vuole cautela nell'uso del mezzo espressivo quando viene utilizzato con utenti che coniugano la psicoterapia classica con un percorso integrato in atelier".14

Tornando alla diade madre-figlio, quindi, si può non essere brutti, ma essere vissuti come brutti dai caregivers: il bambino è bello, ma "vissuto come brutto". E poiché questa bruttezza intrinseca lo estranea dalla complicità diadica, egli probabilmente andrà a perpetuare la catena di "svalorizzazione" di sé e dell'Altro.15

E il suo mondo interno, comprensivo di significative matrici estetiche, si arricchisce di elementi che tendono a vivere e a vedere come brutto quello che non è raggiungibile, e a non poter desiderare la bellezza, a non poter assumere la bellezza come piano possibile e autentico di valorizzazione dell'esistenza.

Da Freud (1929, p. 574) : "L'utilità della bellezza non è evidente, che sia necessaria alla civiltà non risulta a prima vista, eppure la civiltà non potrebbe farne a meno. La scienza dell'estetica studia le condizioni per cui il bello è sentito come tale, ma non è stato in grado di fornire spiegazione alcuna circa la natura e l'origine della bellezza; […] una cosa sola sembra certa: che l'amore per il bello tragga origine dalla sensitività sessuale; esso sarebbe un classico esempio di impulso inibito nella meta. "Bellezza" e "attrattiva" sono originariamente attributi dell'oggetto sessuale".

Melanie Klein ha richiamato l'attenzione sulle operazioni nei processi di simbolizzazione dell'artista, e sviluppa l'ipotesi secondo cui l'operare artistico è una difesa contro la realtà interna abitata dalla fantasia inconscia d'aver distrutto l'oggetto buono, per cui la creatività sarebbe animata da una tendenza riparativa.16

Kazimir Malevič, (1878 Ucraina Meridionale - Leningrado 1935), in un opuscolo che apparve a San Pietroburgo (allora Pietrogrado) nel 1915, dal titolo "Dal Cubismo e dal Futurismo al Suprematismo. Il nuovo realismo pittorico" (edizione in circolazione: Mosca, Terza Edizione 1916), espone in modo probabilmente ancora non chiaro neppure a se stesso, il processo di arrivo al Suprematismo. Solo nel 1927, dopo dodici anni dall'esposizione della tela il Quadrato Nero, è in grado di esporre una sintesi degli eventi: "Quando nel 1913, nel mio disperato tentativo di liberare l'arte dal peso del mondo degli oggetti, arrivai alla forma del quadrato ed esposi un quadro che rappresentava solo un quadrato nero su un fondo bianco, la critica e con lei tutta l'opinione pubblica, sospirò: "Tutto quello che abbiamo amato è andato perduto: ci troviamo in un deserto… Davanti a noi c'è solo un quadrato nero su fondo bianco!". Il quadrato apparve incomprensibile e pericoloso all'opinione pubblica (…) e non c'era da aspettarsi qualcosa di diverso".

Nella prassi clinica, il terapeuta adotta uno sguardo genitoriale, e spesso con benevolenza, adatta questo suo sguardo alle spigolosità, alle "zone" buie nella personalità del paziente. Spesso sono proprie quelle zone a permettere l'emergere di materiale utile alla psicoterapia. A consentire al terapeuta la formulazione di "subcriteri" tecnici atti a raggiungere proprio quel paziente, e non un altro. Nella prassi, abbiamo verificato che esistono pazienti con un sistema di giudizi specifico, che deriva dal personale substrato culturale, che è frutto di precise esperienze ma anche di un definito modo di percepire: dallo stile di personalità, si potrebbe dire. Farei un esempio. Se una donna molto bella, arrogante, egocentrica, e senza consapevolezza del suo impatto sugli altri e delle loro reazioni, con un disturbo narcisistico del tipo inconsapevole17, intraprende una psicoterapia, non mi sarà possibile applicare con lei lo stesso stile di controtransfert e lo stesso "insieme" di valorizzazioni applicabili ad un paziente maschio, fisicamente poco attraente, inibito, schivo e che si eclissa, e che si sente ferito con facilità, che evidentemente presenta dei tratti assimilabili alla personalità narcisistica ipervigile18. Sembrano presentare due tipi di disturbi narcisistici antitetici, uno opposto all'altro, e poiché con ciascuno occorrerà adottare un approccio specifico, sarà necessario tenere conto che possiedono diversi sistemi di valutazione del bello e del brutto, e diversi modi di ricollocare questi due valori nei differenti modi di attivare un transfert. Se teniamo conto della questione metodologica circa i pazienti narcisistici "irraggiunti" sollevata da Ammon, possiamo utilizzare un diverso insieme di tecniche che tenga conto di queste differenze. Anche i disturbi dell'umore ed in particolare quelli di tipo depressivo, "spesso costellano un orizzonte di irraggiungibilità, si presenta uno spettro di diversi gradi di restringimento delle potenzialità formali, e talvolta si assiste ad una chiusura percettiva, come se il mondo dei colori, per esempio, fosse costituito solo da coppie di opposti, o gruppi di sfumature molto ristrette"19.

Elaborare i diversi temi in sessioni di atelier, vale a dire in un laboratorio adeguatamente attrezzato in cui sia possibile accedere ad un insieme di materiali e di strumenti per permettere al corpo, grazie alle sue percezioni, di esprimere le proprie categorie e di elaborarne i contenuti in modo manifesto attraverso l'atto creativo o la cosiddetta azione formalizzante,20 può costituire un luogo per entrare in un contatto più profondo con il terapeuta e con la realtà materia delle cose, con le qualità oggettive e sostanziali degli oggetti, grazie non solo alla "mediazione" dei gesti creativi, non solo alla "rappresentazione" visibile e tangibile dei contenuti simbolici, ma anche grazie all'attraversamento esperienziale della propria irraggiungibilità.

"Il contenuto del quadrato nero era ignoto e incomprensibile anche per Malevič. Per lui rappresentò un avvenimento di tale importanza per il suo lavoro, da non riuscire a bere, a mangiare e a dormire per una settimana", racconta Anna Leporskaja, allieva e poi collaboratrice dell'artista.21

Il paziente "raggiunto", non è semplicemente raggiunto dal terapeuta o drammaticamente baciato dal sacro fuoco dell'arte (anche se tutto questo può accadere e fa parte di un più vasto insieme di considerazioni), ma più verosimilmente è portato ad accollarsi la propria irraggiungibilità, la propria dimensione indicibile, con l'apporto del consulente di atelier, che deve comunque avere una conoscenza ampia delle modalità espressive dei linguaggi dell'uomo, soprattutto artistici. Il paziente impossibilitato ad imprimere un colore su una tela, o immobilizzato nel bel mezzo di una danza, ecco che diventa finalmente protagonista della propria irraggiungibilità, ed è quanto meno indotto dalle circostanze ad elaborare questa fase peculiare del suo percorso. Il consulente di atelier deve avere la sensibilità per comprendere quando è necessario un gesto di aiuto, quando è necessario optare per l'apprendimento tecnico, quando è necessario accogliere i silenzi e anche l'astensione del paziente dal gesto creativo, soprattutto quando rappresenterebbe un "agito". In questi contesti, è possibile visualizzare processi prelogici e le attribuzioni qualitative, che appartengono al mondo arcaico del paziente, e non è sempre utile considerare questi processi espressione di una sfera patologica della personalità o ancora elementi di grande valore artistico. Il processo creativo nasce dal desiderio dell'uomo di lasciare la propria impronta e di esprimere le immagini mentali, come emerge dall'arte arcaica, dai graffiti rupestri, dalle prime forme in terracotta, dall'arte della maschera, dai riti e misteri della musica e della danza.

Il processo di "esperienza dell'irraggiungibile" è complesso e può essere organizzato in un progetto creativo personalizzato per il paziente. Il progetto deve essere comprensivo di elementi tecnici, grazie ai fattori di apprendimento, di elementi estetici e culturali (vi sono "mondi" di differenze tra il paziente che ama, ad esempio, l'arte sacra e contemplativa e il paziente che predilige esprimersi un gruppo di danza tribale, e in questi rispettivi mondi vi sono ancora microuniversi di unicità, irraggiungibilità specifiche e mezzi appropriati di elaborazione). Il lavoro è sulla capacità espressiva di un messaggio. La capacità espressiva è direttamente correlata alla capacità di fornire informazioni, di essere messi in condizione di "diventare raggiungibile".

Seguendo il modello di Ammon, "nel processo terapeutico si ha una specie di triangolo di punti decisivi:

  1. un'estrema paura di contatto e di rapporti interpersonali a causa dell'arcaica esperienza di essere stati offesi e respinti. Con ciò è connesso:
  2. un insaziabile e patologico sentimento narcisistico fondamentale, un buco nel nucleo narcisistico della personalità che mai può essere riempito, e
  3. di conseguenza, sentimenti di profondo abbandono, del sentirsi continuamente perseguitati, nonché una rabbia disperata e aggressività distruttiva.

Dal punto di vista Io-strutturale il triangolo consiste di paura, aggressività e narcisismo. Bisogna inoltre tener presente il fatto fondamentale che a questi pazienti manca la facoltà della regolazione della delimitazione dell'Io verso il mondo delle proprie fantasie inconsce e di una delimitazione flessibile rispetto a altre persone, a gruppi e alle esigenze che la vita sociale comporta.

In base a queste cognizioni noi cerchiamo di raggiungere queste persone mediante la simultaneità di terapia di danza, contatto fisico, terapia di teatro, terapia di equitazione e terapia d'arte in gruppi diversi. Crediamo di essere sulla strada giusta per raggiungerle nel nucleo della loro personalità e per liberarle dai terribili sentimenti di abbandono, offrendogli la prospettiva di una vita attiva e creativa. Tuttavia non siamo in grado di dare una risposta definitiva al problema della raggiungibilità degli irraggiunti".

In altre parole, si può dire che l'approccio è multidisciplinare, integrato, e al paziente sono offerti diversi scenari espressivi e cornici di contenimento.

Ora, esiste in Italia uno spazio per lo sviluppo di una psicologia dell'Arte?

Non intendiamo con questa riferirci unicamente alle arti terapie e ai loro campi applicativi, né ad un uso, quando non abuso, del termine "creatività". Come nell'approccio di Ammon, non facciamo riferimento alla creatività e al suo sviluppo, quale piano di crescita dell'Io. Facciamo riferimento alla creatività quale necessità psicologica di esprimerci attraverso i linguaggi propri dell'uomo, spesso trascurati a vantaggio di mezzi di comunicazione più efficienti ma spesso poveri o del tutto privi di sfumature di significato o di connotazioni emotive.

"Freud, si è mosso in due direzioni, l'una volta a far luce sull'opera d'arte per decifrarne il messaggio e l'altra diretta ai rapporti intercorrenti tra l'opera e la vita dell'artista con particolare attenzione alla sua infanzia. Il saggio su Leonardo rappresenta un esempio di biografia psicoanalitica dove si tenta di superare ogni rigida barriera tra il normale e il patologico. Conflittualità, convertibilità delle energie psichiche, reazione, difesa, sublimazione, simbolizzazione: questi concetti di base dell'edificio psicoanalitico conducono Freud a definire l'arte come appagamento sostitutivo di un rapporto interrotto con la realtà, e l'artista come colui che, in disaccordo con la vita, è capace di realizzare, attraverso la fantasia e le proprie particolari attitudini, i suoi desideri di amore e di gloria, e di trovare traducendoli "in una specie di cose vere" la strada per ritornare alla realtà"22. Per Freud (1911 p. 458-459), l'artista "diventa l'eroe, il sovrano, il creatore, il prediletto che bramava diventare, e questo senza percorrere la faticosa e tortuosa via della trasformazione effettiva del mondo esterno. Può tuttavia raggiungere tale risultato perché altri uomini provano la sua stessa insoddisfazione per la rinuncia imposta dalla realtà, e perché dunque questa insoddisfazione, che risulta dal fatto che il principio di piacere è stato sostituito dal principio di realtà, è essa stessa parte del reale".

Riguardo al nostro lavoro, c'è da dire che tutto questo potrà essere sviluppato nel corso degli anni: per ora si tratta di idee, riflessioni, suggerite dall'osservazione clinica. Oggi giorno, non ci chiediamo più se l'associazione di psicoterapia e arte sia vantaggiosa, ci chiediamo semmai come possa essere utilizzata. Vi sono infinite variazioni delle possibilità di interazione, infinite varianti nella risposta del paziente e nella percezione del terapeuta. Può succedere che il paziente si senta valorizzato e arricchito, può succedere che si senta "declassato" a terapie secondarie e pensi che il terapeuta sia arreso; ancora può succedere che il paziente, soprattutto il paziente narcisistico, assegni all'arte e al terapeuta, un posto di "esistenza satellite"23, un prolungamento del suo Io. "Un approccio all'arte in laboratorio, può essere molto utile al paziente narcisistico nella seconda parte dell'arco della vita. L'atelier può diventare un palcoscenico dell'Io grandioso di un paziente che senta sfilacciarsi i tessuti della sua espansione, coltivata nel corso della prima parte della vita. Questo può diventare un terreno di confronto nuovo, in cui fare esperienza tangibile del proprio narcisismo, e scontrarsi con risposte a volte frustranti. Può accadere che il paziente esca dal confronto, non lo accetti, e smetta di frequentare il laboratorio, cerchi di far fallire la terapia o di denigrare il lavoro "pratico". Questo offre comunque al terapeuta elementi nuovi che possono essere interpretati.

La formazione offerta presso il Centro di Prato a psicologi e psicoterapeuti, che desiderino approfondire l'approccio alla psicologia dell'arte, si basa prevalentemente sul "learning by doing" di tipo esperienziale. La formazione è finalizzata a "liberare" e nel contempo ad "incanalare" la conoscenza, per arrivare ad una comprensione unica e personale, quindi permettere ad ciascuno di far appello alla propria esperienza e oggettivarla.

L'allievo oltre alla esperienza di atelier con pittura, modellato e scultura, movimento nello spazio attraverso seminari residenziali di espression-primitive, riceve una intensa formazione in psicologia dinamica di gruppo insieme ad utenti del centro, utilizzando tecniche psicodrammatiche e psicoanalitiche di restituzione verbale.

Il tutto in un sistema aperto accettando un dialogo con gli allievi e pronti a recepire le innovazioni, i linguaggi estremi, le componenti storiche, che provengono da mondi altri.

Bibliografia

  • AMMON G. The psychosomatic symptom in its relation to Ego and Group dynamics. PROC. I Intern. Gong. College Psychos. Med., Guadalajara 1971.
  • AMMON G. (1974) Psicosomatica, Ed. Borla (Mex) 1977 (trad.)
  • A.A.V.V., Parole senza affetti, Serie L'Osservazione Psicoanalitica, Biblioteca Bollati Boringhieri, Torino 1995
  • MAFFEI L., FIORENTINI A., Arte e Cervello, Nuovi Classici della Scienza, Zanichelli, Bologna 2006
  • FREUD S., Opere, Boringhieri, Torino 1974
  • GABBARD G.O., Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002
  • GALIMBERTI U., Dizionario di Psicologia, Utet, Torino 1992
  • KLEIN M., HEIMANN P, MONEY-KYRLE R., a cura di, Nuove vie della psicoanalisi. Il significato del conflitto infantile nello schema del comportamento adulto. Il saggiatore, Milano 1966

Note

  1. Leonardo da Vinci, Trattato sulla pittura, Richter, n. 1172, Freud cita l'italiano da Bottazzi, p.193
  2. Galileo Galilei, Lettera del 1612 al pittore Cigoli
  3. Günter Ammon, 1918-1995, fu Presidente dell'Accademia Tedesca di Psicoanalisi (DAP) e della Società di Medicina Psicosomatica Tedesca (DPGM), e docente di Psicoanalisi presso la Libera Università di Berlino. Psichiatra e psicoanalista di orientamento psicodinamico, ha vissuto lungamente in America dove ha lavorato ed insegnato per circa dieci anni alla Clinica e Scuola Menninger a Topeka, un prestigioso centro di ricerca, pratica e training per la psichiatria ad orientamento psicoanalitico. La psichiatria psicodinamica, ribaltando le tesi della psichiatria tradizionale, considera la malattia mentale come il risultato e l'espressione di un disturbo o di un impedimento dello sviluppo dell'Io e dell'identità. Pertanto non prende in esame solo la sintomatologia e si preoccupa soprattutto della soggiacente struttura della personalità malata (deficiente e distorta struttura dell'Io). Il malato non è più visto come un'entità separata dal resto del mondo e la malattia non viene affrontata separatamente dall'esperienza quotidiana, ma analizzata come manifestazione, e ad un tempo causa, del disagio della nostra civiltà. Viene presa in esame la condotta umana e le sue manifestazioni, e il paziente viene posto al centro del proprio progetto terapeutico rispettandone la personalità qualunque essa sia. Nel trattamento vengono prese in esame non solo le parti malate del paziente, ma anche quelle sane al fine di utilizzarle nel processo terapeutico. Questo, nel suo complesso, mira a far recuperare al paziente un normale sviluppo dell'Io e ad ottenere un cambiamento nella sua personalità, tale da renderlo capace di condurre una vita creativa e socialmente integrata. Per questo la psichiatria dinamica si avvale del contributo fondamentale della psicoanalisi e diventa una psichiatria preventiva e riabilitativa. (da "Dalla nostra visita alla Clinica Menterschwaige di Monaco", Virginia Giliberti Tincolini, Franco Bruschi - Psicoanalisi Oggi, Rivista Italiana di Psichiatria Dinamica n. 2 - 1988).
  4. Günter Ammon, "Gli irraggiunti - Sul problema del narcisismo arcaico", Relazione al 2° Congresso Mondiale della World Association for Dynamic Psychiatry (WAPD) - XV Simposio Internazionale dell'Accademia Tedesca di Psicoanalisi (DAP), Monaco di Baviera, 11-16 dicembre 1983, copyright Pinel Publikationen Berlin
  5. Sigmund Freud fu indotto a tale giudizio dalla sua teoria del narcisismo (1914), nella quale afferma che per le nevrosi narcisistiche la libido è concentrata sull'Io, in modo che non vi sia più energia libidica per altri investimenti. La libido rimane fissata all'Io e vi investe fantasie ed componenti ideative. Questa mancanza di libido costituiva per Freud uno dei criteri essenziali nella diagnosi differenziale dell'isteria e della schizofrenia. Nel 1916 scrive: "Nel caso delle nevrosi narcisistiche, la resistenza è insuperabile. Il massimo che possiamo aspettarci è di gettare uno sguardo curioso al di là del muro per adocchiare ciò che vi avviene".
  6. Bela Buda, 3° Congresso Mondiale della World Association for Dynamic Psychiatry (WAPD), 1985. Gunter Ammon cita l'amico Bela Buda per una espressione che gli è frequente, e che Bela Buda ufficializzerà in quella sede congressuale due anni dopo.
  7. Günter Ammon, Atti del IV Congresso mondiale della World Association for Dynamic Psychiatry, Berlino, 14-18 marzo 1988
  8. L'autore si riferisce all'Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica Esperienziale Espressivo, presso il centro di Prato, in via Strozzi 97 con il collega Giuseppe RombolàCorsini, ed in particolare al lavoro con la dott.ssa Irene Battaglini, Responsabile di Atelier delle Risorse Creative presso l'Istituto.
  9. Umberto Eco, Il bello è brutto e il brutto è bello?, La bustina di Minerva, "L'Espresso", 15.9.2006, http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Il%20bello%20%E8%20brutto%20e%20il%20brutto%20%E8%20bello?/1383429/1
  10. Secondo Gabbard, Twemlow, 1994: "In evidente contrasto con i genitori mancanti di empatia, alcuni genitori di pazienti narcisisti tendono ad essere palesemente indulgenti, e sembrano incoraggiare la grandiosità attraverso un modello di eccessivo rispecchiamento. Esibiscono i loro figli con ammirazione e approvazione, facendoli sentire realmente speciali e particolarmente dotati. Quando questi bambini cresceranno, saranno ripetutamente sconvolti dal fatto che gli altri non sempre reagiscono come i loro genitori". Glen O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Cortina, Milano 2002, p. 500.
  11. Irene Battaglini, Resoconti Seminariali e di Atelier, n. 2, Prato 2008. Dispense ad uso interno, Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica Espressivo-Esperienziale.
  12. Irene Battaglini, Resoconti Seminariali e di Atelier, n. 1, Prato 2008. Dispense ad uso interno, Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica Espressivo-Esperienziale.
  13. George Lakoff e Mark Johnson, Metafora e vita quotidiana, Bompiani, Milano 2004
  14. Irene Battaglini, Resoconti Seminariali e di Atelier, n. 3, Prato 2008. Dispense ad uso interno, Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica Espressivo-Esperienziale.
  15. "Khout (1971, 1977, 1984), credeva che gli individui narcisisticamente disturbati fossero arrestati da un punto di vista evolutivo ad uno stadio in cui hanno bisogno di specifiche risposte dalle persone del loro ambiente per mantenere un Sé coeso. In mancanza di tali risposte, questi individui tendono alla frammentazione del Sé. Khout spiegava questo stato di cose come il risultato di fallimenti empatici dei genitori. In particolare i genitori non avevano risposto alle manifestazioni di esibizionismo del bambino, adeguate rispetto alla sua fase di sviluppo, con validazione ed ammirazione, non avevano offerto esperienze gemellari, e non avevano fornito al bambino un modello degno di idealizzazione. Queste carenze si manifestano nella tendenza del paziente a formare un transfert speculare, gemellare o idealizzante". Glen O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Cortina, Milano 2002, p. 489
  16. Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, Torino 1992, pp. 737-741
  17. Glen O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Cortina, Milan o 2002, p. 487
  18. Glen O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Cortina, Milano 2002, p. 487
  19. Irene Battaglini, Resoconti Seminariali e di Atelier, n. 1, Prato 2008. Dispense ad uso interno, Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica Espressivo-Esperienziale.
  20. Irene Battaglini, La base sicura nella prospettiva dell'Arco di Vita: un progetto per lo sviluppo delle risorse, Biennale di Psicologia dell'Arco di Vita, Calenzano, 22.11.2008
  21. Simmen e Kohloff, Kazimir Malevič, Vita e Opere, Konemann, Colonia 1999
  22. Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, Torino 1992, pp. 737-741
  23. Glen O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Cortina, Milano 2002, p. 487
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