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Avere ed essere il lavoro:
la doppia contraddizione della libertà

di Enzo Spaltro

Io sono molto grato al prof. Boris Luban-Plozza, al prof. Pier Lorenzo Eletti, alla International Foundation Erich Fromm di Firenze, alla città di Firenze e a voi che mi ascoltate per la possibilità che ho qui di parlare di Erich Fromm non da un punto di vista psicoanalitico e psicoterapeutico, ma dal punto di vista della sua rilevanza nel campo delle idee che dominano il lavoro umano.

Io, per un lungo periodo, ho avuto a che fare con gruppi destrutturati, caratterizzati dal qui ed ora, cioè da una destrutturazione del tempo e in questa mia esperienza ho avuto la possibilità di capire il perché il sentimento del tempo, in un piccolo gruppo, sia funzione dello stato di repressione esistente in questo piccolo gruppo. Diminuendo la pressione / depressione diminuisce il sentimento del tempo. Il tempo in questi gruppi si sente meno. Dal tempo altrui si passa al tempo proprio. E in queste situazioni si comincia a sentire una emozione particolare di successo, un senso di achievement e di potere.

Abituati come siamo a trattare situazioni in cui abbiamo poco potere,
limitato potere, limitate possibilità di controllo, ci meraviglia molto nel 'qui e ora' la sensazione di controllo caratteristica di questo stato, destrutturante il tempo, presente in questi piccoli gruppi. Questo mi successe nelle prime esperienze americane con CarI Rogers a Chicago, nelle prime esperienze italiane con Charles Mertens de Wilmars nel '66 e mi successe nel 1969 nelle prime applicazioni didattiche di questi gruppi con studenti a Trento, nel corso di laurea di Sociologia. Nel mio primo corso di Psicologia del lavoro tenuto in quella Università, nel 1968, tra i libri di testo molto seguiti ed amati dagli studenti, vi erano la "Fuga dalla libertà" e "Marx e Freud", di Erich Fromm. Furono i primi libri di testo usati lateralmente a questi gruppi, questi T -groups come li abbiamo chiamati, o come li hanno chiamati, e questa particolare situazione di lettura di un autore che per noi era allora nuovo, nel '68-'69. Questa sensazione di successo, di potere, di achievement ci portò alla sensazione che questa modalità di essere, col tempo destrutturato del 'qui e ora', potesse essere esportata altrove, in situazioni esterne. Si pensò allora quindi al cosiddetto paradosso della socializzazione, che dice che quanto più un individuo è socializzato con un piccolo gruppo, tanto più può socializzarsi con altri gruppi, contrariamente a quello che si crede. Cioè tanto più uno è sul presente, tanto più può esportare questa sua capacità di esserci, altrove e dopo. Ed è per questo che io mi sono permesso di intitolare questa mia esposizione: "Avere ed essere il lavoro: la doppia contraddizione della libertà". Ebbi occasione di invitare Erich Fromm, ma troppo tardi, lo invitai nel luglio del '79 al XVIID congresso che gli psicologi italiani organizzarono ad Acireale, ma Erich Fromm era troppo stanco e malato e mi disse che non poteva arrivare fino in Sicilia. Il gruppo di intervento, il gruppo destrutturato sul 'qui e ora' diventò per noi psicologi del lavoro la cinghia di trasmissione di molti interventi psicosociali e di molte ipotesi di cambiamento. Così quando nel '76 mi capitò il libro di Fromm "Avere o essere", appena uscito in inglese, mi venne spontaneo fare questa associazione: ma il 'qui e ora" è la modalità dell'essere in cui il tempo è destrutturato ed è il nostro strumento, mentre la modalità dell'avere è la storicizzazione in cui il tempo è strutturato nostro padrone, strumento altrui. E notai le tre citazioni che Fromm aveva posto all'inizio di questo libro: "La via del fare è l'essere" (Laotsé). La via del fare: ciò è paradossale perché noi crediamo che l'essere sia stasi. Secondo il filosofo tedesco Master Eckhart che è stato il prediletto di Fromm per molti anni, degli uomini "converrebbe considerare non tanto quello che devono fare, ma quello che sono". E poi seguiva la citazione di Marx che in Erich Fromm non mancava mai: "Meno si è e meno si esprime la propria vita, più si ha e più si è alienata la propria vita" .

Fu molto affascinante per me avventurarmi in questa distinzione tra avere e essere e correlare il pensiero di Freuci' con tutto il movimento dei gruppi. I due verbi ausiliari che esprimono due diverse modalità di vivere dell'uomo appaiono subito come due accezioni della sua libertà. Avere è connesso col possesso, con l'incorporazione, col consumo, col passato, col tempo altrui, col modello dentro e fuori, con il tempo altrui e l'ossificazione, come la chiama Fromm, che rischia la necrofilia. Pier Lorenzo Eletti ci ha ricordato il mascheramento, e ha citato appunto la pelliccia che le sètte si mettono addosso, come mascheramento della natura umana; mentre l'essere è connesso col presente, con l'attività, con l'utopia. Citerò qui la frase di Fromm perché mi sembra molto interessante la distinzione che egli fa fra l'utopia e i sogni ad occhi aperti, l'utopia la contraddistingue come caratteristica dell'essere, i sogni ad occhi aperti con l'avere.

Avere ed essere sono quindi due possibilità tra cui l'uomo sceglie liberamente. E allora il discorso diventa più che linguistico. Avere autorità o essere autorità. Avere conoscenza o conoscere. Avere amore o amare. Avere il lavoro o essere il lavoro. Avere amici o essere amici?

Fromm prosegue dicendo: spezzare la modalità dell'avere è la condizione di ogni genuina attività. Ed è questa la base della libertà, il passare da una unità a una dualità. Sembra una banalità ma è una cosa fondamentale perché nasce così tutta la cultura di gruppo, cioè il passaggio da una unità di rapporto a una dualità di rapporto, dall'1 al 2 ed è poi la porta per passare al plurale.

Io mi ero permesso di denominare questo processo proprio in quegli anni caldi di Trento: "il pensiero duale si ritiene come porta per la socializzazione" .

Occorre a questo punto ricordare alcune frasi di Fromm, perché prima di passare a realizzare meglio le "due contraddizioni, che in questo' dilemma tra avere e essere esistono nel mondo del lavoro, dobbiamo capire meglio come possiamo intendere la modalità dell'avere e la modalità dell'essere. Dice Fromm: secondo la modalità dell'avere noi siamo legati a ciò che abbiamo accumulato in passato. - Ecco la dimensione temporale fondamentale dell'avere. - Denaro, terra, fama, rango sociale, conoscenza, figli e memoria, pensiamo al passato e attraverso il ricordo proviamo sentimenti. Noi siamo il passato. lo sono ciò che sono stato. E così si dice: questa persona ha un futuro, cioè viene a significare che l'individuo in questione avrà molte cose, anche se per il momento non le ha. L'essere, dice Fromm, non è necessariamente fuori del tempo, ma il tempo non è la dimensione che governa l'essere. Hanno questa natura e questa è un'idea molto importante, le utopie genuinamente tali ed è questo il fondamento della fede genuina, la quale non ha bisogno della realizzazione esterna nel futuro perché la sua esperienza diventi reale. Una cosa è rispettare il tempo, tutt'altra cosa è sottomettersi al tempo.

E veniamo al lavoro. Cosa significa avere o essere il lavoro? Apro una breve parentesi. Bisogna stare attenti a non rifare l'errore che lo stesso Fromm critica, cioè passare da un'ideologia dell'avere ad un'ideologia dell'essere. Non bisogna tener presente una sola modalità e considerare che l'essere e la modalità dell'essere è l'unica, possibile, necessaria, ma occorre, come poi vedremo meglio, rispettare la natura duale e dialettica del rapporto di libertà tra l'avere e l'essere. Essere costretti ad essere è altrettanto negatore della libertà di quanto non sia l'essere costretti ad avere.

Avere il lavoro. Significa che il lavoro è un fatto altrui, significa accettare la totalizzazione e il dominio dell' obiettività, della norma, della storia, del passato.

Essere il lavoro significa considerare il lavoro come nostro e vivere il privilegio della soggettività, del presente, del plurale, dell'utopia. Però questa associazione non è così semplice, perché essere il lavoro non è di necessità una modalità liberante; perché rispetto ad "avere" il lavoro l'''essere'' il lavoro ci pone due contraddizioni che vorrei qui ricordare, perché sono sempre presenti quando noi usiamo dei gruppi o quando effettuiamo degli interventi che vogliono modificare uno stato di fatto nel mondo del lavoro. Ciò avviene quando noi vogliamo usare il "qui ed ora", cioè la modalità dell'essere per intervenire sulle organizzazioni e sui problemi lavorativi, e quando ci poniamo anche il problema della libertà dell'intervento sempre al limite fra l'aiuto e la violenza.

La prima contraddizione vede la dialettica fra avere e essere partendo dall'avere, come fa Fromm nel libro "Avere o essere". Cioè essendo prevalente il modo dell'avere come si può passare a un modo dell'essere? Dall'avere il lavoro all'essere il lavoro? E qui vi sono alcune osservazioni abbastanza sottili da fare. Quanto più si ama il lavoro tanto più si è il lavoro. Quanto più ci si impegna tanto più si conta. Quanto più ci si immerge tanto più si riemerge. Quanto più si entra tanto più si esce, quanto più si è fermi e tanto più si ha influenza, quanto più si sta nel presente e tanto più si ha successo, quanto meno si sente il tempo, tanto più si ha tempo, quanto più si è il lavoro tanto più il lavoro sembra nostro. Ecco questa è una contraddizione. lo ho visto in ripetuti esempi questa contraddizione. Cito un caso: i bidelli di una Università che si ritengono molto potenti perché fanno molto e in realtà sono molto potenti, sono sicuramente la categoria più potente nell'Università e la loro potenza deriva dal sentimento di potere, il quale sentimento di potere deriva dall'investimento di potere, dall'essere il lavoro più che avere il lavoro.

Seconda contraddizione. Essere o avere? Cioè partendo dall'essere, passando dall'essere il lavoro all'avere il lavoro, dando per scontato che le due modalità sono ineliminabili, non si può scegliere néuna né l'altra; quanto più si partecipa e tanto più ci manca il tempo, quanto più si è lavoro tanto più c'è stress da lavoro, quanto più il lavoro piace tanto più il lavoro assorbe, quanto più si è attivi tanto più si è dipendenti dal lavoro, quanto più si gode il lavoro tanto più poi si ha bisogno di godere, quindi si è dipendenti da un lavoro piacevole molto di più che da un lavoro spiacevole, quanto più si è lavoro tanto meno il tempo è nostro.Ne è esempio tutto il grande capitolo del lavoro a casa, che in alcuni Stati, come per esempio in California, si sta diffondendo: la situazione gradevole del lavoro svolto a casa provoca ansia di invasione e soprattutto provoca il dubbio che al di là della gradevolezza vi sia un ritorno dell'avere il lavoro e quindi di una reificazione inconscia del lavoro stesso.

Riassumendo possiamo dire: la prima contraddizione dice: solo essendo il lavoro possiamo avere il lavoro, cioè il potere nasce dall'essere; la seconda contraddizione dice: essendo il lavoro siamo inconsciamente in grado di avere il lavoro, cioè un modo di essere fittizio che senza saperlo nasconde la modalità dell'avere. Fromm risponde a queste due contraddizioni. Cito le ultime parole del libro "Avere o essere" perché sono abbastanza significative quando dice: "Se la città di Dio e la città terrena costituiscono la tesi e l'antitesi, una nuova sintesi rappresenta l'unica alternativa al caos, una sintesi tra il nucleo spirituale del mondo tardomedioevale e lo sviluppo avvenuto a partire dal Rinascimento del pensiero razionale della scienza. Questa sintesi costituisce la città dell'essere".

"La città dell'essere" sono le ultime parole di questo bellissimo libro che è "Avere o essere" di Erich Fromm.

Mi spiace che Fromm venga prevalentemente trattato come terapista, perché, secondo me, nella sua origine professionale di terapista ha fatto soltanto i primi passi e che il massimo del contributo di Freud al suo lavoro è il tentativo di rispondere da parte di Fromm ai grandi quesiti della società contemporanea.

In questa doppia contraddizione della libertà Erich Fromm si pone come aiuto all'uomo contemporaneo che deve scegliere costantemente nel suo lavoro tra l'avere o l'essere; Fromm risponde in molti modi con il concetto di negoziazione consensuale interna, con il concetto della doppia dialettica e della prassi dialettica, come utopia quotidiana, facendo dell'utopia un fatto quotidiano non un fatto straordinario di sogni ad occhi aperti, come affermazione della Zwainatuur prendendo da Jung questo concetto, che non è né eretico né ortodosso, che è solo progetto. Questo concetto di progetto interno, progetto intimo che è così fondamentale nel mondo del lavoro, come scontro e smentita del destino dell'uomo, un progetto proprio come smentita del destino è un'idea tipica di Fromm.

Io penso e sono molto lieto di avere la possibilità di affermarlo qui che la qualità della vita di lavoro possa avere molti contributi dall'analisi dell'applicazione del pensiero di Erich Fromm che, ripeto, io considero soprattutto un pensatore sociale più che uno psicoterapista. Vi ringrazio.

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