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Intervento alla Tavola Rotonda "Grandezza e Limiti del pensiero di Freud" (1986)

di Graziella Magherini

Nella vastissima produzione di Fromm è data la possibilità di spaziare su quasi tutto l'arco della problematica contemporanea connessa alla situazione, al destino dell'uomo nella società e sulla terra. La psicoanalisi come dottrina e come statuto della mente moderna dopo Freud è in partenza il bagaglio teorico fondamentale. Ma poi, nel corso dello sviluppo del pensiero di Fromm, la psicoanalisi da teoria originaria e rigorosa muta anche in qualche altra forma di pensiero, allarga la sua prospettiva e la sua dimensione e così facendo si mette in grado di toccare temi, argomenti, problemi di grande interesse, ma anche se non estranei, almeno esterni a quelli trattati specificamente dalla disciplina analitica. La psicoanalisi, asse teorico portante, si diluisce in altre discipline, in altri metodi, in altri approcci culturali.

Un pensiero ben articolato, ben organizzato, costruito come un edificio a più piani, ma non propriamente un pensiero originale. Fromm non è uno scopritore, è un sistematizzatore e un revisore delle scoperte freudiane. Le leggi del mondo interno, l'inconscio non vengono sottoposti ad ulteriori approfondimenti, ma applicati al mondo esterno. Un pensiero che raccoglie e sintetizza in una prospettiva di umanesimo planetario i contributi parziali e specifici delle filosofie, delle religioni, della storia, e anche della psicoanalisi. Un pensiero sincretistico, tipico delle età di transizione e di crisi, quando occorre tentare di fare il punto sullo stato delle cose affidandosi a una mediazione fra le scienze, fra gli apporti delle diverse discipline del sapere.

In questo quadro interdisciplinare la psicoanalisi viene fatta incontrare con discipline che hanno altro statuto, altra ottica e altro linguaggio. Ne risultano forme miste di psicoanalisi e filosofia, psicoanalisi ed esegesi biblica, psicoanalisi e religioni, psicoanalisi e sociologia, psicoanalisi e storiografia. C'è un'indubbia sapienza in Fromm nello stabilire contatti e nell'armonizzarli con grande chiarezza espositiva, al livello di alta divulgazione. I prodotti di questo pensiero riepilogativo sono spesso ibridi, tanto che si deve ricorrere a dizioni nuove, frutto della mediazione. Così la psicoanalisi, divenuta una descrittiva generale del visibile e dell'invisibile, è uno strumento adatto per applicazioni al mondo esterno, alla società, all'economia, all'equilibrio precario delle situazioni umane: una chiave abilitata ad aprire tutte le porte. In questo allargamento multiuso della dottrina analitica da cui Fromm prende le mosse (il Freud criticato come teorico della libido ma che su di lui ha avuto un forte influsso come antropologo del disagio della civiltà) c'è una valorizzazione della psicoanalisi come scienza umana riveduta (ecco perché si può parlare per Fromm di revisionismo psicoanalitico) per corrispondere ad una problematica che non è più solo dell'individuo e del suo mondo interno.

Come si manifesta questo revisionismo? Soprattutto nell'adattamento del linguaggio analitico al linguaggio descrittivo della sociologia. In un libro giovanile, uno studio dal titolo Operai tedeschi nel 1929, l'applicazione della psicoanalisi alla sociologia è manifesta e diretta, tanto che si può parlare di sociopsicoanalisi. Lì la psicologia freudiana si coniuga con la teoria marxiana. Il linguaggio di Fromm risentirà costantemente di questa fusione di teorie e delle loro interconnessioni.

Un marx-freudismo come metodo per abbracciare i rapporti di interdipendenza fra fattori psicologici e fattori sociali. Nel marxismo affonda la sua storia di individuo appartenente ad una famiglia di ebrei osservanti, quindi la sua autobiografia di individuo sociale; nel freudismo la vicenda delle esperienze interiori e intime. Il linguaggio, che appartiene alla sfera freudiana, ha come radice l'interiorità, ma è sottoposto a quella che Fornari chiamerebbe una "estensione" verso l'esterno. Il linguaggio di sfera marxiana è prevalente nella struttura del ragionamento e nella costruzione stessa della ricerca. Un libro abbastanza esemplare di questa alternanza di marx-freudismo anche nel linguaggio dello scrittore è La crisi della psicoanalisi, uscito nel '70, tradotto da noi nel '71, ma che è una rassegna di studi con una escursione cronologica oscillante dal 1932 al 1969. Si veda il primo saggio, che ha lo stesso titolo del volume, appunto La crisi della psicoanalisi, e si vedrà che il linguaggio è quello di uno storico-sociologo del movimento psicoanalitico, valutato in termini quantitativi di mercato, di concorrenza, di prezzi, etc.


Attualmente la psicoanalisi sta attraversando una crisi che, in superficie, si manifesta in una certa diminuzione del numero di studenti che si dedicano al tirocinio negli istituti di psicoanalisi e nella minor quantità di pazienti che ricorrono all'aiuto dello psicoanalista. Al fine di valutare esattamente tale crisi è opportuno considerare la storia della terapia psicoanalitica. All'incirca mezzo secolo fa la psicoanalisi dischiuse un nuovo campo d'indagine e, dal punto di vista economico, un nuovo mercato [p. 9].

Fromm si colloca con questo tipo di approccio in un'epoca postanalitica, che guarda alle realizzazioni del movimento come a effetti già conseguiti, conquiste già storicizzabili. Lo sguardo di Fromm è anche da epistemologo, quando inserisce quelle realizzazioni in una storia del pensiero umano. La teoria freudiana è riuscita a fare "scienza dell'irrazionale" (la teoria dell'inconscio), continuando l'opera di Copernico, di Darwin e di Marx.

Passiamo a uno dei libri più conosciuti anche e forse soprattutto da un pubblico di non addetti ai lavori. L'arte di amare, del '56, tradotto

in italiano nel '63, è un trattatello morale in cui la psicoanalisi non è più impegnata se non per dare una vaga coloritura di psicologia generale. Qui Fromm è ormai sul crinale da cui si osservano i comportamenti e i sentimenti dell'uomo occidentale, incapace di amare poichè ormai sterilizzato nella sua capacità di "essere". La scrittura condensa una serie di massime di saggezza. In questo senso abbiamo parlato di trattato sulla morale. Lo stile è chiaro fino alla semplicità da tutti condivisa. Vi si parla dei grandi sentimenti, dei bisogni, della solitudine, dell'amore in termini generali attraverso le epoche. Fromm è un maitre a penser che poggia su una base psicoanalitica, ma vagamente analitica ormai, una capacità di visione sintetica delle interrelazioni umane.

Una formazione ancorata ai principi del marx-freudismo come radice si allarga poi in una folta vegetazione verso l'esterno e la radice analitica finisce se non per estinguersi per essere dominata da tutto il fogliame che però ha contribuito a produrre. Bisogna tuttavia distinguere da libro a libro; alcuni, come Anatomia della distruttività umana, sono un'antologia di metodi e di sistemi, dalla neurofisiologia alla teoria critica degli istinti e dell'istintivismo (di Lorenz), dalla sociologia alla storia. C'è un filo che lega le varie parti fra di loro ed è la volontà di dimostrare con tutti gli apporti possibili che la violenza non è un prodotto naturale dell'istinto ma, nella sua forma di aggressione maligna, una degenerazione culturale. In questo affresco della distruttività umana Fromm dà un saggio del suo eclettismo e della capacità a organizzare i materiali della più varia provenienza in un linguaggio finalizzato ad una comunicazione il più possibile ampia, a un'udienza massiccia.

Libri come La rivoluzione della speranza, che risale al '68 e fu tradotto l'anno dopo, sono dei manifesti di etica generale. Il linguaggio tende sempre più alla generalità definitoria:


La speranza è paradossale. Non è né passiva attesa né irrealistica forzatura di circostanze che non possono avverarsi. è come la tigre rannicchiata che salta solo quando è il momento [...] Sperare significa essere pronti in ogni momento a ciò che ancora non è nato e anche a non disperarsi se nulla nasce durante la nostra vita [p. 15].

In un libro come Grandezza e limiti del pensiero di Freud Fromm si misura sullo stesso terreno della sua formazione originaria, in un confronto critico con il pensiero freudiano. Sulla grandezza di Freud le idee di Fromm sono molto nette. Riconosce in lui l'iniziatore, il padre fondatore della dottrina, lo scopritore del mondo interno. Nel discorso sui limiti, Fromm si lascia trascinare dalla sua vena di sociologo. I limiti sarebbero limiti di classe, limiti di contestualizzazione della dottrina. Un Freud borghese, legato ai pregiudizi della sua classe, è un obiettivo polemico, su cui si può in parte consentire (ogni uomo è per certi aspetti uno specchio della propria epoca), ma che non aiuta la psicoanalisi a progredire come conoscenza del mondo interno. La funzione di Fromm nel quadro della psicoanalisi contemporanea sembra essere più quella di un polemista e di un divulgatore che quella di un vero e proprio addetto ai lavori psicoanalitici. Infatti da un libro come Grandezza e limiti... non ricevono nuovi impulsi le tendenze innovative in questo campo. è un libro di storia del pensiero psicoanalitico, che resta in più di una pagina alla superficie del fenomeno, dando l'impressione di non seguire Freud nella direzione del mondo interno, e perciò di spostare la controversia su un piano di descrizione, di dibattito culturale. La culturalizzazione della psicoanalisi fa parte del progetto divulgativo implicito in una scrittura che si rivolge alle comunicazioni di massa e, forte dell'egemonia della cultura americana e della diffusione della lingua inglese, acquista una posizione di effettivo dominio culturale, al quale, a nostro parere, non corrisponde un grado analogo di approfondimento. C'è tuttavia da ravvisare nella funzione di Fromm un aspetto non secondario che ha avuto largo influsso nell'uso che della psicoanalisi si è fatto all'interno delle istituzioni. Da discorso privato, limitato ai confini di una stanza, la psicoanalisi è diventata uno strumento per capire sistemi sempre più complessi, per orientarsi nelle dimensioni umane collettive delle organizzazioni di lavoro. La psicoanalisi nelle istituzioni, strumento interpretativo del linguaggio degli operatori e della emozionalità che sottende il linguaggio della veglia, della razionalità, ha avuto in Fromm un teorico anche spregiudicato e comunque meritorio. In Italia la lezione di Fromm è stata autonomamente rielaborata, con una più stretta aderenza ai testi freudiani e alle tecniche analitiche, da Franco Fornari, cui dobbiamo una qualificante estensione istituzionale della psicoanalisi all'analisi di codice. Anche nella nostra pratica quotidiana di operatori nel campo della salute mentale possiamo riscontrare la funzionalità della parola analitica quando sia calata in un contesto interpersonale di rapporti e relazioni, di conflitti e tensioni. In questa nuova, più esposta al sociale, condizione della psicoanalisi quale strumento ausiliare nell'interpretazione delle dinamiche in un collettivo, l'umanesimo di Fromm ha avuto nelle sue molteplici articolazioni teoriche e nelle altrettanto numerose applicazioni pratiche un ruolo importante. Se pure sono lecite alcune riserve non sul fatto della divulgazione, dell'intenzionale allargamento di intellegibilità della psicoanalisi, quanto su certe modalità di traduzione divulgativa, che rischiano un fraintendimento delle tecniche e delle finalità dell'analisi, il riconoscimento della funzione svolta da Fromm è pressochè unanime e, come si è visto nel recente Simposio fiorentino, diffuso su scala mondiale. A questo proposito bisogna osservare che il programma e l'effettivo svolgimento del Convegno, che si intitolava al tema prediletto e centrale della meditazione frommiana Dalla necrofilia alla biofilia, ha cercato di abbracciare una personalità e un'opera che hanno dimensioni pluridisciplinari, senza nulla trascurare, dai concetti intrinseci al sistema teorico alla critica portata sul pensiero freudiano, dai nessi con l'antropologia e la religione ai nuclei significativi del linguaggio dimenticato e dell'arte di amare. Ma il filo che collegava fra loro tanti approcci, diversificati anche dalla lingua e dalle culture non omogenee degli intervenuti, era il costante richiamo ad una psicoanalisi umanistica. Cosa sia, da angoli differenziati di osservazione, l'hanno spiegato psicoanalisti e storici della filosofia e del pensiero politico, antropologi e teologi. Non sono mancate le sovrapposizioni e talune divergenze, ma, ripeto, la linea era chiara, sulla scia dell'assidua critica frommiana della distruttività e nella direzione di un neoumanesimo fondato su una reale conoscenza dell'essere.


Testo rielaborato sugli appunti di un intervento alla tavola rotonda organizzata sabato 15 novembre sul tema Grandezza e limiti del pensiero di Freud nell'ambito dell"'Erich Fromm International Symposium", Dalla necrofilia alla biofilia (Linee per una Psicoanalisi Umanistica), Firenze, Palazzo Vecchio, 14-16 novembre 1986.

BIBLIOGRAFIA DEI TESTI CITATI IN ORDINE DI APPARIZIONE

  • E. FROMM, Lavoro e società agli albori del Terzo Reich. Un'indagine di psicologia sociale, con un saggio introduttivo di W. BonB, trad. di L. Boella (1980), Mila no, Mondadori, 1982.
  • E. FROMM, La crisi della psicoanalisi, trad. di G. Fattorini (1970), Milano, Mon dadori, 1976.
  • E. FROMM, L 'arte di amare, trad. di M. Damiani (1956), Milano, il Saggiatore, 1971.
  • E. FROMM, Anatomia della distruttività umana, trad. di S. Stefani (1973), Mila no, Mondadori, 1979.
  • E. FROMM, La rivoluzione della speranza, trad. di P. Bartellini, (1968), Milano, Bompiani, 1982.
  • E. FROMM, Grandezza e limiti del pensiero di Freud, trad. di F. Saba Sardi, Mila no, Mondadori, 1979.
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